giovedì, Aprile 25, 2024
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Le antiche case del vino: sopravvive solo quella di Armando. Erano le tradizionali cantine sotto la Rocca Soltanto una ospita ancora mosto e bottiglie

Canevî, dove il Bardolino si affinava in villeggiatura

I canevìni erano importanti, eccome: l’ombelico del mondo, quello vinicolo di riviera. Passava di lì tutto il miglior Bardolino, ad affinare con pazienza. Veniva portato, si diceva, «in villeggiatura» a Garda prima di metterlo in vendita. Quando? Fra l’Ottocento e la guerra. Poi, il declino. Continuo. Canevî viene da càneva, cantina. Ce ne sono una ventina, sotto la Rocca. Una dozzina passato il cimitero, e sono i canevìni alti, altri sette-otto accanto alla parrocchiale, i canevìni bassi. Hanno una particolarità che li rende unici sul Garda, nel Veronese, nel Veneto. Son cresciuti attorno a delle grotte, a dei crolli del colle. Sopra, ci hanno costruito le case. Sotto, dalle fenditure della roccia passa aria, che traversa chissà come e chissà dove la Rocca. La temperatura, così, resta costante: 8-10 gradi tutto l’anno. Per trovare qualcosa di simile bisogna andare in Lombardia ai confini svizzeri, in Valchiavenna. Là li chiamano crotti e son quasi tutti stati riutilizzati per farci ristoranti, osterie, enoteche. Qui a Garda niente: qualcuno è abbandonato, cadente, qualche altro trasformato in garage. Uno solo, l’ultimo, rimane destinato all’uso enoico. È il canevî dell’Armando «Pivèl» Pinamonte, uomo di stazza ben piazzata, di parola poca, di disponibilità infinita. Uomo di sport, anche. Classe 1947, ma non lo diresti: ne dimostra almeno dieci di meno. Fa bene la frescura del canevî e la consuetudine con i campi da pallone. Fino al 1978 l’Armando faceva il tributarista. Aveva giocato a pallone a buonissimi livelli: mediano metodista, cinque stagioni all’Audace, in serie D. Poi aveva contribuito a portare in promozione la squadra del Bardolino. Da Bardolino gli venne il suggerimento. Fu Giulio Liut, eterno direttore del consorzio vinicolo, a suggerirgli d’utilizzare il canevî di famiglia (l’aveva comprato papà Lorenzo una decina d’anni prima) per far vino. Nacque la cantina Canevini: stop alla partita doppia e via con la vinificazione. Oggi fare e vendere vino è la sua unica occupazione. «Compro tutta l’uva che mi danno a Garda, dalle vigne delle Rasole e delle Risare, qualche po’ a Bardolino e a Custoza. Mi aiuta mio fratello Alessandro», racconta. È rimasto l’unico produttore di Garda: se il paese può ancora con ragione appartenere all’area della doc bardolinista lo deve ad Armando. Meriterebbe una medaglia. Fa il Bardolino Classico (buono), il Chiaretto (il suo vino migliore), un Bianco di Custoza, uno spumante brut, qualche frizzantino. «Ci si vive», ammette. Vende direttamente in cantina: vengono da lui a prendere bottiglie anche da Milano. Al piano di sopra è sempre pronta una fetta di salame, un pezzo di pane, una sardéna sott’olio, per gli amici che giocano a carte e bevono un gòto. Un porto di mare, pardon, di lago. Apertura alle 14, fino alle 19, dal lunedì a sabato, salvo se c’è allenamento. Perché Armando allena i ragazzini del Garda, dopo aver seduto su tante panchine dei campionati dei dilettanti in provincia. «Ma a insegnare ai bambini c’è più divertimento», dice. Passione vera. Per il pallone, per il vino, per l’ultimo canevî.

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