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Molta narrativa vi sarebbe da fare, ma nessuna penna può descrivere l’impressione che suscita il paese aggrappato al suo suggestivo castello medioevale

Capitani e finanzieri nel castello disegnato dalla «spia» Goethe

Molta narrativa vi sarebbe da fare, ma nessuna penna può descrivere l’impressione che suscita il paese aggrappato al suo suggestivo castello medioevale, e delle erte montagne che rinserrano l’ultimo tratto del Garda: un torrione pentagono a strapiombo sul lago e vecchie muraglie. L’incomparabile sito viene così indicato nel «Dizionario topografico dei Comuni» (1866): «Sulla sinistra del lago di Garda verso la frontiera del Veronese col Trentino e nelle vicinanze del monte Baldo, giace Malcesine. L’aspetto nei dintorni di Malcesine è molto orrido di sua natura, non avendo in vista che un fianco del monte Baldo e gli erti monti del bresciano». Luogo fortificato in età altomedievale, fu posseduto da Berengario, che allargò la cinta muraria e dai vescovi di Verona nel X secolo. Nel 1157 il castello resistette all’assedio delle truppe teutoniche di Federico Barbarossa. Gli Scaligeri trasformarono nel 1277 il castello, e, con Mastino II, vi installarono la Gardesana dell’Acqua, una sorta di federazione di Comuni gardesani guidata dal Capitano del Lago. In seguito Gian Galeazzo Visconti riconosceva l’indipendenza della Gardesana, lasciando pieni poteri alla Comunità di Malcesine. Il «maniero sull’acqua» divenne quindi roccaforte della Repubblica di Venezia, la quale, per la difesa dei confini, vi tenne alloggiati i Capitani del Lago dal 1509 al 1702; essi avevano a disposizione una piccola flotta armata da cappelletti (cavalleggeri albanesi assoldati dai veneti, così detti dal piccolo zuccotto rosso «onde coprivansi il capo»). Wolfang Goethe, intraprendendo il noto «Viaggio in Italia», soggiornò a Malcesine il 13 e 14 settembre 1786, e qui gli capitò la famosa avventura; disegnando uno schizzo del castello venne scambiato per una spia. L’equivoco fu chiarito, al cospetto del sindaco, da un malcesinese che aveva conosciuto il poeta a Francoforte. Le insegne di San Marco resistettero sul castello ai vari passaggi degli eserciti, finché vennero scalpellate dai francesi nel 1797, dopo le Pasque Veronesi. Gli austriaci, nel 1809, sovrapponevano alla Torre pentagona un terrazzo in cemento facendovi funzionare un telegrafo ottico per comunicare allarmi e messaggi alle zone distanti. Con l’annessione di Malcesine, avvenuta nel 1866, al Regno d’Italia, il castello diventò «presidio di confine» verso nord e sede della Guardia di Finanza. Dopo la grande guerra, perse ogni ruolo difensivo e militare. Il mastio, di pianta pentagonale dell’altezza di circa 30 metri, munito di scarpatura alla base, con muri dello spessore di 2 metri, costituisce forse l’elemento più antico, come informa il Perbellini. Carlo Perogalli nei «Castelli Italiani» lo accenna di volo: «Malcesine (Verona): Castello medioevale, ripreso, visitabile, eminenza paesaggistica». Oggi le sale interne racchiudono il Museo del Garda: una rassegna di armi, imbarcazioni, reperti archeologici e ricordi risorgimentali.

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