martedì, Aprile 23, 2024
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La storia lupatotina del «fornareto» che conquista i mercati d’Italia e d’Europa. Mamma Teresa un giorno convoca i tre figli e spiega che un forno non basta più per dar da vivere a tutti. Così il giovane Rana prova con i tortellini. Inizia in via Volta l

Che pasta d’uomo. Chi è quella bionda vicina al Giovanni?

Giovanni Rana, il Re del Tortellino. Una storia di San Giovanni Lupatoto, di chi è venuto in paese e ha saputo crearvi un’azienda. Oggi il pastificio ha 700 dipendenti diretti, ma quasi 2000 mettendo in conto anche la rete commerciale, copre quasi il 40 per cento del mercato nazionale e si avvicina a tale soglia anche nel mercato europeo, fatturando complessivamente poco meno di 200 milioni di euro.La storia di Giovanni Rana parte nel 1937 quando, ultimo di sei fratelli, nasce a Stra’ di Cologna Veneta da Teresa e Gaetano, commerciante di granaglie. Frequenta le elementari a Veronella e poi fa qualche anno di avviamento industriale. Nel 1943 il fratello Francesco si trasferisce a fare il fornaio a Cadidavid e lì conosce Albina Galvani, lupatotina che poi diventerà sua moglie.«Visti i non entusiasmanti successi scolastici», racconta Giovanni Rana, «nel 1951 mia madre mi mandò a lavorare da mio fratello, che intanto si era messo in proprio con un forno a legna a San Giovanni Lupatoto, in via Garofoli, nella corte di Plinio Turazza. Bisognava alzarsi all’una di notte e non mi piaceva per nulla. Dissi a mia madre che volevo tornare a scuola, ma lei mi rispose che avrei dovuto sfruttare l’occasione prima. Così continuai a fare il fornaio insieme con i miei fratelli Giuseppe e Francesco».«Sono arrivato in paese giovanissimo e a San Giovanni Lupatoto mi ha accolto immediatamente bene», dice l’industriale. «Qui ho passato i migliori anni della mia vita e ho trovato amicizie che tuttora mantengo». Non è infatti raro vederlo di domenica mattina al bar Milano, uno dei locali storici del paese. «Quando Luciana Litizzetto mi propose come Presidente della Repubblica, gli amici al bar mi volevano invece sindaco del paese. La gente qui mi ha spronato nella mia impresa e se Giovanni Rana è oggi quello che è, il merito è anche di tutti quelli che hanno lavorato con me. Molti sono lupatotini. Io ho lavorato tanto, anche sabato e domenica, e molti collaboratori mi hanno seguito, capendo sempre le esigenze dell’azienda. Certo che il bene del pastificio era il bene anche loro, ma comunque il pubblico riconoscimento va dato».Giovanni Rana fa il pane e anche lo consegna, in bici, ai clienti del panificio e ai negozi di alimentari. «Quando entravo nella bottega dell’Onesta Ciucelli avevo sempre l’occhio fisso sulle donne che compravano i tortellini», ricorda Rana. «Un giorno le chiesi se i tortellini potevano essere un affare e lei mi rispose di sì, che con i tortellini mi sarei garantito il futuro. Aveva ragione».Un giorno mamma Teresa chiama a raduno i figli e fa loro presente che il forno non avrebbe garantito di che vivere a tre famiglie. «Mio fratello Francesco decise di aprire una pasticceria, Beppino continuò con il forno e a me si prospettava di fare il fornaio a Cadidavid», racconta Rana. «Cinzio Valli, uno zio della mia futura moglie Laura, che commerciava nel settore, mi aveva anche trovato bottega. Ma io gli dissi chiaramente che non avrei raccolto la sua offerta: avevo in testa di fare i tortellini. Sapevo fare il pane, passare alla pasta non avrebbe dovuto essere poi così difficile».«Mio suocero Bruno Murari mi dette il locale in via Volta. Mi disse che non voleva affitto ma avrei dovuto sistemare il fabbricato», prosegue Giovanni Rana. «Con l’aiuto di un muratore soprannominato Bambin Gesù lo misi un po’ a posto e lì nacque fra la fine del 1961 e l’inizio del 1962 il primo laboratorio. Facevamo i tortellini a mano, io, mia moglie e qualche anziana del paese che pagavo parte in tortellini. La punta di lavoro era a metà settimana, perché le giornate di vendita maggiore erano il venerdì, il sabato e la domenica. Al venerdì facevamo anche un po’ di gnocchi. Bisognava lavorare il giorno prima perché i tortellini non duravano molto». Il certificato di iscrizione del pastificio alla Camera di commercio glielo portò a casa il maestro Giuseppe Lavorenti. L’originale è ancora appeso nello studio di Giovanni Rana e reca la data del 28 marzo 1962.Nel 1963 Giovanni Rana sposa Laura Murari. Sono anni di grande lavoro, viene aperto anche un negozio in via Madonnina per vendere al dettaglio. Nel 1965 nasce il figlio Gianluca, oggi alla guida del pastificio Rana come amministratore delegato («Mio figlio governa, io regno», scherza Giovanni Rana). Gianluca è anche presidente dell’Associazione industriali di Verona. La produzione passa progressivamente da artigianale a semindustriale. «Vittorio Albiero, un falegname lupatotino, mi costruì un essicatoio in legno dove mettevamo la pasta ad asciugare», ricorda Rana. Le lavoranti salgono a 15. «Raccomandavo loro di parlare con la bocca ma di far lavorare le mani. La produzione media di tortellini era di un chilo 200 grammi l’ora».Nel 1968 Giovanni Rana decide di fare il grande passo e compera un terreno in via Pacinotti, dove anche oggi si trova la sede centrale della sua attività. «Comprai 2.000 metri di terreno dal Moro De Uffici e due anni dopo aprii qui la prima vera fabbrica». Il pastificio si è allargato anno dopo anno, ampliandosi sui terreni circostanti. In paese c’è un detto fra i proprietari di terreni agricoli che ostentano improvvisa ricchezza: «Guarda che non ho i campi vicino a Rana!» Negli anni Settanta e Ottanta il fatturato del pastificio Rana cresce a doppia cifra, anche del 25 per cento l’anno.«Il lavoro è stato sempre al centro della mia vita», racconta Giovanni Rana. «Per anni ho dormito con il blocco notes sul comodino. Mi serviva per annotare le modifiche alle macchine per la produzione dei tortellini». L’innovazione degli impianti è ancora oggi un pallino di Giovanni Rana, che non mai mollato neppure il settore sviluppo e ricerca. I nuovi prodotti sono per la maggior parte frutto delle fantasia.Giovanni Rana abita ancora nella casa all’interno della fabbrica. «La mia vita è qui», confessa. «Quando lo racconto, qualcuno mi chiede se i rumori della produzione non mi disturbano. No: per me è musica».La fama nazionale gli arriva con le celebri pubblicità televisive, in cui parla — di tortellini — anche con Marilyn Monroe.Come è nata quell’idea, e fu davvero sua? «A metà degli anni Ottanta», racconta Rana, «il gruppo Barilla voleva rilevare la mia azienda. Chiesi perché loro non avessero venduto la loro fabbrica e Pietro Barilla mi rispose che l’azienda per lui era un grande cavallo che si divertiva a domare. Allora io gli ribattei che la mia azienda era un asinello, un musseto, che faceva divertire me e mio figlio Gianluca». Fu il primo no, successivamente replicato a Star e Kraft. «Volevo tenere l’azienda, ma mi servivano idee per combattere le multinazionali», continua Rana. Ed ecco la trovata della pubblicità. «La fulminazione», Rana dice così, «arrivò una notte. Pensai alla Pasta del Capitano, il dentifricio. Una volta non era pubblicizzato dal suo stesso creatore, il dottor Ciccarelli? E se dico alla gente che sono io, Giovanni Rana, quello che fa i tortellini?»I pubblicitari sono convocati e si arriva così a Rana che in tv presenta, ma ancora senza parlare, i suoi prodotti. Un’indagine di mercato attesta che la notorietà dei tortellini Rana è in crescita ma che i telespettatori credono che il paròn Giovanni sia un attore.«Allora ho chiamato il pubblicitario più famoso che conoscevo, Gavino Sanna, e gli ho detto: fai qualcosa perché mi riconoscano» racconta Rana. «Dopo un mese è arrivato con Marilyn. “Guarda che questa è una bella idea”, mi disse, “però devi recitare con accanto a te una sedia vuota”. Se serve per vendere più tortellini…»Così nascono gli spot con Marilyn (e con Rita Hayworth e Humphrey Bogart…) «I diritti sulle immagini costavano fior di quattrini», racconta Rana. «La figlia di Rita Hayworth mi chiese 200 milioni di lire, che destinò a una fondazione che si occupa della cura dell’Alzheimer», la malattia che colpì la bellissima attrice, «e anche di vedere lo sport prima che uscisse».

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