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Report Tavola Rotonda “Vini rosati nel mondo: un successo crescente e globale- Come passare dall'effetto moda alla fidelizzazione dei consumatori tramite le opportunità offerte dall'enoturismo"- Italia in Rosa, Moniga del Garda, 3 giugno 2012

Chiaretto, un vino per il terzo millenio

“Il rosato è veramente il vino del terzo millennio ma per crescere ancora ha bisogno di regole precise e ben definite che ne sostengano la piena dignità”. Questo il messaggio emerso dal convegno “Vini rosati nel mondo: un successo crescente e globale- Come passare dall’effetto moda alla fidelizzazione dei consumatori tramite le opportunità offerte dall’enoturismo”, che ha tenuto banco domenica 3 giugno a Moniga del Garda nell’ambito della quinta edizione di “Italia in Rosa”, la vetrina del Chiaretto, dei rosati e dei rosè. Obbiettivo della tavola rotonda, quello di definire e precisare la posizione della Valtènesi, ed in particolar modo della sua produzione enologica “in rosa”, rispetto al mondo: un tema sul quale si sono confrontati Roque Pertusa, presidente del CIVP (Conseil Interprofessionnel des Vins de Provence), Sante Bonomo, presidente Consorzio Valtènesi- Garda Classico, Maurizio Gily, agronomo e giornalista, Paolo Rossi, Presidente Federalberghi Lombardia, e Alberto Panont, direttore del centro di ricerca regionale Riccagioia, nel ruolo di moderatore. Di particolare rilevanza l’intervento di Pertusa, che ha inquadrato il fenomeno dei rosati della Provenza, un’area dove i rosé nelle diverse espressioni delle denominazioni “Cote de Provence” rappresentano l’84% della produzione vitivinicola. “Siamo la prima regione viticola francese per produzione di vini rosati – ha spiegato il presidente del CIVP -. Esistono documenti che testimoniano come in quest’area la produzione dei rosati fosse una consuetudine già prima dei Romani. Da noi si vive, si pensa, si agisce in rosa. Certo fino a una ventina d’anni fa il rosato era vino un po’ marginale, quasi un divertimento secondario per i produttori: ma in questo tempo le cose sono radicalmente cambiate grazie allo sforzo dei produttori”. Oggi infatti la produzione di rosè vale a livello mondiale circa 25 milioni di ettolitri (di cui più di tre quarti prodotti in Europa), pari al 10% della produzione totale mondiale di vino (il riferimento è ai soli vini fermi). La Francia è il primo Paese produttore con sei milioni e mezzo di ettolitri, seguito da Italia, Stati Uniti e Spagna. La particolarità dei rosati francesi, spagnoli ed italiani è che si tratta di vini secchi, diversamente ad esempio da quanto accade in altri Paesi del mondo come gli Usa dove il Rosato è un vino con più alto grado di residuo zuccherino. Anche qui però, come in Russia, il trend di consumo si sta invertendo a favore dei secchi. “Il consumo è essenzialmente europeo perché qui questa tipologia è nata e si è diffusa – ha detto ancora Pertusa-. Un terzo del consumo totale è concentrato in Francia: l’Italia è al 6%, la Spagna al 4%. Per questa situazione la Francia è anche prima nella classifica dei principali paesi importatori con una quota del 28% del quantitativo totale, contro una quota export del 14%. Negli ultimi due anni il consumo dei rosati in Francia ha oltrepassato i bianchi per una quota pari al 27 %”. Va inoltre sottolineato che a livello mondiale la produzione è aumentata del 13% in otto anni: un dato che spinge quindi ad affermare che il Rosa è ormai divenuto in via definitiva il terzo colore, affiancato a Rosso e Bianco, nelle opportunità di scelta offerte ai consumatori di vino. In questo senso si può parlare del rosato come del vero e proprio vino del terzo millennio: non più una moda, ma una realtà per la quale, ha avvertito Pertusa, “servono regole precise e ben definite: perché ovunque si può fare rosato ma una cosa è farlo come opportunità, una cosa è farlo in aree specializzate come Provenza o Valtènesi cui si chiede qualità e specializzazione. La grande sfida del futuro sarà quindi quella di definire cos’è un vino rosato perché una definizione univoca non c’è”. Per quanto concerne la situazione italiana, il primo dato da mettere in evidenza è tuttavia ancora un livello di consumi piuttosto timido che condiziona tutte le altre componenti della filiera. “L’Italia è il primo esportatore di vini rosati, ma questo avviene essenzialmente perché il consumo interno è basso – ha spiegato Maurizio Gily-. Si tratta tuttavia di un’esportazione piuttosto povera a livello di prezzo medio. Si esporta ad esempio molto poco nel Regno Unito, mercato dove c’è stata una forte crescita per i rosati, particolarmente importante perché questo è un Paese madre per la comunicazione sul vino. La crescita in Italia è ancora piuttosto limitata: il Rosato viene interpretato dai produttori ancora essenzialmente come un completamento di gamma più che come un prodotto su cui puntare. E se non ci credono i produttori è difficile convincere il resto della filiera ad investire sulla tipologia. Il caso della Valtènesi è diverso: qui il Chiaretto è un prodotto centrale della cultura enogastronomica, ma generalmente i rosati rimangono poco proposti sia nella ristorazione che nelle enoteche. E nella Gdo, dove si vendono più rosati, domina la competizione sulla leva del prezzo. Bisogna quindi aumentare il valore della tipologia, non la produzione: solo così si darà  la giusta dignità a questo prodotto. Va anche tenuto presente che l’Italia non ha una zona di forza come la Provenza: c’è grande frammentazione e un accordo nazionale fra i produttori di rosati mi pare molto difficile da raggiungere. Inoltre deve migliorare anche la qualità media del prodotto, tenendo presente che il rosato è un vino difficile, sul quale le cantine devono investire molto perché chiede attenzione estrema in tutte le sue fasi produttive”. Tematiche queste ultime ben conosciute ai produttori della Valtènesi, area che, come ha spiegato il presidente Sante Bonomo, ha ritrovato la sua antica vocazione proprio nel forte consolidamento del successo del Chiaretto.  “In Valtènesi il vino è una vocazione importante e di antiche radici, come dimostra anche lo studio di zonazione effettuato tra il 1910 e il 1920. Paradossalmente questo vino, nonostante almeno 500 anni di storia, nell’epoca più recente era stato quasi dimenticato. Oggi lo abbiamo recuperato nella nuova denominazione di origine controllata del territorio, che ha debuttato lo scorso 14 febbraio con il primo Valtènesi Chiaretto, vino che per noi ha una valenza molto importante: da qui infatti siamo ripartiti sulla strada di una nuova considerazione per questo prodotto, che non deve essere più il vino da bere in fretta e dimenticare in pochi mesi ma da ragionare e meditare. Il successo del nostro Chiaretto è innegabile e testimoniato da una produzione che, nel giro di 5 anni, è passata da 480 mila a 1,37 milioni di bottiglie. E’ la dimostrazione che quando il territorio riscopre la vocazionalità il mercato lo premia. Certo, siamo una nicchia molto piccola, ma è proprio questo aspetto che ci spinge sempre di più verso un prodotto di alta qualità: insomma, il Chiaretto è una chicca, un vino da boutique”.  Importante in questa affermazione anche il legame con il turismo, che ha rappresentato un altro capitolo importante della tavola rotonda. “Il Garda è il settimo nome nella classifica delle 12 aree turistiche italiane conosciute in tutto il mondo – ha detto Alberto Panont-.  In questo panorama molto forte tuttavia il vino, a partire dal Valtènesi Chiaretto celebrato in questi giorni ad Italia in Rosa, non può essere figlio povero del turismo ma deve giocare la partita sullo stesso piano” D’accordo Luigi Alberti, presidente di Italia in Rosa, ampiamente soddisfatto per il grande, per certi versi inaspettato successo di questa edizione della rassegna, andata in porto con grandi consensi nonostante le difficoltà che hanno caratterizzato l’organizzazione in un momento non particolarmente facile dal punto di vista economico. “I risultati di questa manifestazione premiano pienamente i nostri sforzi – ha detto Alberti-. Abbiamo avuto conferma, in  questa quinta edizione, del valore dell’iniziativa, che garantisce un livello qualitativo sempre più elevato. Da questo successo si può partire per costruire un sistema enogastronomico unico del lago di Garda, perché attraverso una sinergia efficace tra il mondo delle produzioni tipiche ed il turismo si può rilanciare una politica economica forte per il nostro territorio”. Per accendere il motore dell’enoturismo la sinergia è quindi fondamentale: non solo in Italia ma anche in Francia. “L’enoturismo è un modo per i produttori di acquisire notorietà in modo diretto – ha spiegato Pertusa illustrando l’esperienza del suo territorio -. Da noi molte cantine sono aperte al pubblico, effettuano attività di ristorazione, realizzano bed and breakfast soprattutto in proprietà antiche di particolare pregio. Da quattro anni si è sviluppata la Strada dei Vini di Provenza. Il turista non viene mai solo ed esclusivamente per il vino, ma anche per visitare il Paese, per assaggiare le specialità gastronomiche: per questo la Strada è diventata anche dei prodotti del territorio e all’ingresso di ogni paese viene esposta una mappa delle cantine e dei punti dove trovare i prodotti. E tutto questo è possibile solo se tutta la filiera, istituzioni comprese, contribuisce ad un gioco di squadra”. Su questo fronte però l’Italia, come sottolineato da Paolo Rossi, parte penalizzata. “Noi purtroppo non siamo grandi comunicatori del territorio come i francesi. In Francia vino e turismo sono colonne portanti della cultura e dell’economia di un Paese. Da noi sono visti alla stregua di un fenomeno di costume. Sul Garda abbiamo una grande tradizione in questo senso: l’hotellerie gardesana può vantare almeno 120-130 anni di storia, e su questa sponda del lago si è fatta una parte di storia del turismo italiano. Ma forse ad onor del vero ci si è adagiati un po’ sugli allori, volando un po’ sul profilo basso e questo per un certo periodo ha fatto spegnere i riflettori sul nostro territorio. Una delle chiavi che ha contribuito alla rinascita degli ultimi anni è stata la nascita di numerosi campi da golf, che ha riportato sul Garda quella clientela internazionale che da anni lo disertava. E si sa, questa clientela è attenta anche e soprattutto all’enogastronomia. Credo che per la produzione vitivinicola della nostra zona siano successe le stesse cose: fino a 30 anni fa questa era un’area di produzioni di serie b, e sulle tavole degli alberghi c’era di tutto tranne che il nostro Chiaretto. Oggi la situazione si è ribaltata: il Garda può vantare produzioni di grande qualità, professionisti eccellenti e prodotti di nicchia assolutamente unici come il Chiaretto ed il Groppello. Credo che il Chiaretto in particolare possa diventare un brand straordinario per territorio gardesano: ci vorrebbe un grande investimento in comunicazione per farlo diventare un driver straordinario per il turismo delle nostre terre. Con quel colore straordinario e la sua piacevolezza potrebbe ad esempio diventare l’aperitivo ufficiale del lago di Garda. Ma soprattutto i vini gardesani dovrebbero spiccare il volo ed arrivare sulle tavole dei grandi ristoranti delle capitali europee: perché questa sarebbe migliore promozione possibile per il territorio”. Di certo insomma c’è che il Chiaretto ha sempre di più il profilo di una tipologia vincente per il mercato. Da qui la “provocazione” lanciata da Alberto Panont, che ha invitato produttori e vertici del Consorzio Valtènesi a prospettare fin dalla prossima vendemmia la possibilità di arrivare ad una percentuale di Chiaretto pari al 50%. Una sorta di sfida raccolta positivamente da Sante Bonomo, cui è stato lasciato l’onere della riflessione conclusiva. “Non ci stiamo muovendo casualmente alla ricerca di un successo di breve periodo – ha detto il presidente del Consorzio Valtènesi-Garda Classico -. Alla base di quanto abbiamo realizzato c’è un progetto preciso, partito dalla ricerca, e questo ha prodotto forti cambiamenti. Oggi ad esempio sono i ristoratori e gli albergatori del territorio che ci chiedono di andare da loro a spiegare cos’è il Valtènesi. E finalmente anche nelle nostre manifestazioni internazionali il vino viene presentato come un prodotto di piena dignità: l’importanza del lavorare insieme è però fondamentale per dare consequenzialità piena nell’offerta quotidiana dei prodotti del territorio ai contenuti della nostra azione promozionale. Insomma, ci sono tutte le condizioni perché il Chiaretto possa crescere ancora”.

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