La scelta della polizia municipale a salvaguardia di una delle fasce più deboli degli utenti della strada. I vigili: «Con la sanzione si evitano ulteriori errori pericolosi»

Ciclisti multati, lo dice il codice

09/01/2007 in Attualità
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Di Luca Delpozzo
Annamaria Schiano

La polizia munic­i­pale di Cavaion non ci sta a pas­sare per per­se­cu­to­ria nei con­fron­ti dei ciclisti e repli­ca alla protes­ta di un’infermiera di Verona, mul­ta­ta men­tre ped­ala­va affi­an­ca­ta a un’ ami­ca sul­la provin­ciale 31, che da Cavaion con­duce a Bardolino.«Mi sono trova­to sul gior­nale, con tan­to di vignetta», spie­ga Gio­van­ni D’Arco che con il col­le­ga Michele Cas­sari­no era di pat­tuglia quan­do è sta­ta mul­ta­ta con 21 euro la ciclista, «non ci inter­es­sa entrare in polem­i­ca sul sin­go­lo episo­dio. Quel­lo che ci inter­es­sa è dare infor­mazione sui com­por­ta­men­ti stradali cor­ret­ti e ren­dere con­sapevoli i cit­ta­di­ni. Andare sul­la stra­da, spes­so, vuol dire trovare grup­pi di ciclisti che a volte si sentono padroni del­la car­reg­gia­ta. I ciclisti sono una fas­cia debole degli uten­ti del­la stra­da e devono essere con­sapevoli delle regole, per non met­tere in peri­co­lo se stes­si e gli altri. Il codice del­la stra­da par­la chiaro e il nos­tro cor­po di ha deciso di appli­care la legge e sanzionare chi non la rispetta».«Ad esem­pio», pre­cisa D’Arco, «abbi­amo fer­ma­to nel­lo stes­so trat­to di stra­da, una provin­ciale sen­za cor­sia di emer­gen­za e a forte scor­ri­men­to, anche un ciclista che ped­ala­va sen­za mani sul manubrio e che sta­va par­lan­do al cel­lu­lare. Questi sono com­por­ta­men­ti vietati, se poi capi­ta qual­cosa, ad esem­pio se si cade e ci si fa male, a parte i dan­ni a se stes­so, le con­seguen­ze sono sul­la spe­sa pub­bli­ca. Le nos­tre sanzioni non sono riv­olte alla repres­sione, ma sopratut­to a svilup­pare un cor­ret­to com­por­ta­men­to in stra­da. Chi viene sanzion­a­to, pri­ma di com­met­tere di nuo­vo la stes­sa infrazione ci pen­sa due volte».«I vig­ili, inoltre», riprende D’Arco, «inter­ven­gono in tutte le situ­azioni di infrazione, quin­di anche nel caso delle bici­clette, che non si capisce per­ché dovreb­bero essere meno impor­tan­ti, vis­to che comunque cre­ano for­ti peri­coli sul­la stra­da. Bas­ta leg­gere la cronaca quo­tid­i­ana, che ripor­ta la strage di mor­ti e invalidi».Il codice del­la stra­da all’articolo 182, cir­co­lazione dei veloci­pe­di, recita: «I ciclisti devono pro­cedere su uni­ca fila in tut­ti i casi in cui le con­dizioni del­la cir­co­lazione lo richiedano e comunque mai affi­an­cati in numero supe­ri­ore a due; quan­do cir­colano fuori dai cen­tri abi­tati devono sem­pre pro­cedere su uni­ca fila, sal­vo che uno di essi sia minore di anni 10 e pro­ce­da sul­la destra dell’altro. I ciclisti devono avere libero l’uso delle brac­cia e delle mani e reg­gere il manubrio almeno con una mano. Devono con­durre il vei­co­lo a mano quan­do siano di intral­cio o di peri­co­lo per i pedoni».Il codice del­la stra­da quin­di è chiaro, bisogna viag­gia­re su uni­ca fila, sebbene l’eccezione sul­la cir­co­lazione urbana abbia gen­er­a­to la con­vinzione dif­fusa tra i ciclisti che sia con­sen­ti­to viag­gia­re affi­an­cati. I cod­i­ci stradali di molti Pae­si europei vietano addirit­tura la cir­co­lazione di bici­clette sulle strade extrau­r­bane, pos­sono cir­co­lare solo sulle piste cicla­bili, molto più numerose che in Italia.In ter­ri­to­rio ital­iano è altret­tan­to vero però, che anche lad­dove esistono le piste, i ciclisti sportivi non le uti­liz­zano. I vig­ili di Cavaion, per questo, con­cludono: «Nel nos­tro Comune ci sono molte che sarebbe il caso di usare, ne corre una anche vici­no al trat­to di provin­ciale dove è sta­ta emes­sa la con­travven­zione. C’è anche la inter­co­mu­nale dei pae­si di Affi, Coster­mano, Capri­no e Riv­o­li, che sebbene sia sta­to a lun­go pub­bli­ciz­za­ta viene usa­ta pochissi­mo. Con i nos­tri inter­ven­ti si cer­ca solo di sal­va­guardare uten­ti for­ti e deboli del­la stra­da, per­ché non si ver­i­fichi­no inci­den­ti che poi fan­no sof­frire tut­ti».

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