sabato, Aprile 20, 2024
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I grandi pellegrinaggi che partendo da ogni angolo d’Europa confluivano verso Santiago de Compostela, potevano essere concepiti solamente da uomini che avevano un senso del tempo e dello spazio radicalmente diverso dal nostro.

Dalla macchina a vapore ai giorni nostri

I grandi pellegrinaggi che partendo da ogni angolo d’Europa confluivano verso Santiago de Compostela, potevano essere concepiti solamente da uomini che avevano un senso del tempo e dello spazio radicalmente diverso dal nostro. Coloro che si mettevano in marcia lungo la strada dei pellegrini erano disposti a sacrificare mesi ed anni della loro vita alla devozione, e non si ponevano il problema della distanza. Ai loro occhi, la porzione di mondo allora conosciuto era senza confini, e nessuno sapeva quanto tempo fosse necessario per percorrerla interamente. Un astronomo dei nostri giorni ha avuto la brillante idea di rappresentare la crescente velocità dei trasporti rimpicciolendo progressivamente la mappa dei cinque Continenti. Il risultato è che dall’inizio dell’era cristiana fin verso la metà del secolo scorso le dimensioni del mondo sono rimaste pressoché immutate. Diligenze, carrozze e velieri non erano in grado di percorrere più di 15 km all’ora (le caravelle di Cristoforo Colombo, ad esempio, non superarono, in media, gli otto km all’ora). Con l’introduzione della locomotiva a vapore, che viaggiava ad una velocità di 100 km, le dimensioni del mondo si ridussero ad un sesto. Oggi con gli aerei supersonici che corrono sul filo dei 2.400 km all’ora, il nostro pianeta s’è rimpicciolito almeno di 160 volte. Se poi teniamo conto della velocità con cui corrono le informazioni possiamo concludere che, grazie al telefono, alla radio, ad Internet, che sono in grado di far circolare le notizie in tempo reale, le dimensioni del mondo si sono virtualmente ridotte a zero. * * *Questa, che rappresenta una delle più straordinarie rivoluzioni della storia umana, si è compiuta essenzialmente nell’ultimo secolo, ma per capire le sue conseguenze non è inutile ripercorrere idealmente le lente strade del mondo preindustriale. Nell’Inghilterra del Settecento, prima che le nuove tecniche di costruzione del manto stradale rendessero le vie terrestri meno avventurose, Arthur Young, il celebre agronomo al quale dobbiamo innumerevoli notizie sulla vita materiale del suo secolo, si era imbattuto in carreggiate profonde quattro piedi e inondate di fango. «Non so trovare in tutto il vocabolario – scriveva sconsolato – parole adeguate a descrivere questa strada infernale. Devo avvertire tutti i viaggiatori che lo possono di evitarla come si evita il diavolo…». Più o meno negli stessi anni, un anonimo viaggiatore partito da Newcastle verso il Sud dell’Inghilterra, metteva in guardia chi si incamminava su quella via con parole non proprio incoraggianti: «È difficile immaginare una strada più orribile. Fui obbligato a chiedere l’aiuto di due uomini che trovai sul posto per evitare che la mia carrozza si rovesciasse…». Esasperanti non erano solo le condizioni delle strade e delle carrozze; lo erano anche i tempi di percorso. «L’uomo – ha scritto Sergio Ricossa – camminava al passo di cinque o sei chilometri all’ora, un buon camminatore non fa più di cinquanta o sessanta chilometri al giorno. Il cavallo al galoppo permette di raggiungere i trentacinque chilometri orari, ma non per lungo tempo: meno di cento chilometri era il raggio d’azione giornaliero di un buon messaggero senza cambiare l’animale. I viaggiatori meno affrettati andavano da Londra a Canterbury (neanche cento chilometri) in due giorni, fermandosi la notte a Rochester. Con il cambio dei cavalli, con le poste a distanze variabili dai dieci ai venti chilometri, una carrozza compiva settanta miglia al giorno, circa cento chilometri, nel XVI e XVII secolo». Anche i viaggi per mare erano condizionati dall’inerzia degli elementi naturali. Quando mancava il vento le flotte si spostavano con una lentezza esasperante allungando a dismisura i tempi di viaggio e non consentendo alcuna programmazione di sorta. Soltanto le navi meglio attrezzate disponevano di un numero sufficiente di rematori per non restare in balìa delle bonacce. Queste navi – gli esempi migliori li troviamo tra le flotte genovese e veneziana – non compivano in ogni caso più di due viaggi all’anno nel Levante, in un tratto di mare breve e non particolarmente tempestoso. Spingersi negli oceani diventava un’impresa senza fine. Nel Settecento il viaggio tra la Francia e Canton richiedeva in media più di 600 giorni. Le spedizioni più fortunate, avvenute tra il 1763 e il 1769, impiegarono 558 giorni; quelle meno fortunate, compiute nei decenni immediatamente precedenti, richiesero in media 653 giorni; nell’ultimo trentennio del secolo 641 giorni. Alla noia, allo sconforto e alla stanchezza che colpivano i marinai in questi viaggi, si aggiungevano l’assenza di notizie ed i rischi elevatissimi. * * *L’invenzione della macchina a vapore fu l’evento decisivo. Nella navigazione essa trovò la sua prima applicazione nel 1801 quando Robert Fulton varò la prima nave a vapore. Tuttavia fu soltanto nei decenni centrali del secolo che la velocità di crociera dei bastimenti triplicò passando, grazie al vapore, dai 15 ai 50 chilometri all’ora. Negli stessi anni incominciò a nascere la rete ferroviaria che in meno di un secolo avviluppò l’Europa occidentale in una fitta ragnatela. In questo caso il cambiamento fu ancora più rivoluzionario sia perché coinvolgeva un numero assai più elevato di persone ed una maggiore quantità di merci, sia perché la velocità si moltiplicò di cinque o sei volte. Quando le ferrovie avevano praticamente esaurito la loro possibilità di espansione, venne alla ribalta il motore a scoppio. I costi d’impianto delle reti ferroviarie erano molto elevati e, d’altra parte, non tutti i luoghi si prestavano ad essere agevolmente raggiunti dalla ferrovia. L’automobile non significò una maggiore velocità dei trasporti ma una più ampia flessibilità permettendo ai mezzi motorizzati di raggiungere località nelle quali la ferrovia non sarebbe mai potuta arrivare. La felice integrazione dei due mezzi di trasporto tolse dall’antico isolamento tutto il mondo sviluppato. Nel frattempo aveva fatto le prime prove l’aviazione. Nel 1903 i fratelli Wright sperimentarono il primo volo a motore della storia compiendo un balzo di 35 metri. La loro impresa fu considerata con molto scetticismo ma in pochi decenni furono raggiunti traguardi insperati. Intorno al 1950 gli aerei ad elica viaggiavano ad una velocità di crociera di 5-600 chilometri all’ora; più tardi l’aereo a reazione ha consentito di superare i 1.000 chilometri; gli apparecchi supersonici hanno sfondato la barriera dei 2.400 chilometri consentendo di raggiungere l’altra sponda dell’Atlantico in poco più di due ore. Un’impresa che era costata a Cristoforo Colombo mesi di affanni e di paure, può essere oggi comodamente compiuta nel tempo necessario per leggere accuratamente il giornale.*professore ordinario di Storia economica all’Università di Pavia

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