venerdì, Marzo 29, 2024
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Salò, la mostra ricorda il sacrificio degli alpini. L’esposizione dal 25 gennaio nel Fondaco di Palazzo Coen

Disegni e cimeli della tragica campagna di Russia

«Al centro del cortile del campo si apriva un pozzo profondo. Là dentro, unendo cinghie di pantaloni e stracci di abiti, si calavano barattoli per attingere l’acqua. Gli assetati facevano ressa attorno al pozzo, e nel tumulto qualcuno cadeva dentro e annegava. Con una pertica si spostavano i cadaveri e si continuava ad attingere». Da «Centomila gavette di ghiaccio» di Giulio Bedeschi (vicentino di Arzignano, che è stato medico reumatologo anche a Brescia, e si è spento a Verona nel ’90) a «Il sergente nella neve» di Mario Rigoni Stern, da «Il peso dello zaino» a «La mia erba è sul Don» al libro di Egisto Corradi: pagine che raccontano il dramma dei 229.000 inviati in Russia. Di loro, 29.690 furono rimpatriati perché feriti o congelati nella steppa. Soldati mandati al massacro. C’erano le divisioni Pasubio, Torino e Celere, al comando del generale Giovanni Messe. Nell’estate successiva si unirono altre unità: Cosseria, Ravenna, Sforzesca, Vicenza e le tre divisioni alpine (Tridentina, Julia e Cuneense) che, insieme alle prime, presero il nome di Armir, l’ottava Armata italiana in Russia, guidata dal generale Italo Gariboldi. Quei ragazzi combatterono con grande valore e dignità, anche se privi di armi moderne e di equipaggiamento adatto. L’artiglieria era preda bellica austro-ungarica, e i cannoni veterani della prima guerra mondiale. A volte si arrivava a livelli paradossali. A causa dello scarsissimo numero di autocarri, le divisioni erano costrette a fare a turno per utilizzarli. Tra un reparto e l’altro si formavano centinaia di chilometri di distanza, le truppe si disperdevano e i collegamenti diventavano estremamente difficoltosi. Così l’armata dovette soccombere alla forza d’urto dell’esercito sovietico. E cominciò il martirio della ritirata. I superstiti furono solo 114.485. «Stanchi, sfiniti, ci si accascia. Per un attimo, fagotti neri nello sconfinato nevaio. Poi la neve cancella anche quelli. Diventano 84.830 puntini, alla media di 2000 al giorno, 300 all’ora. Ogni minuto cadono sei corpi vestiti di cenci e scarpe rotte; una vita stroncata ogni 10 secondi. Partendo avevano cantato: bambina, aspetta il mio giorno: vado, vinco e torno». Per non dimenticare uno dei periodi più amari della nostra storia, domenica 25 gennaio, nel Fondaco di Palazzo Coen a Salò, si aprirà la mostra «Disegni e cimeli nella campagna di Russia 1941-45» che, attraverso documenti e fotografie, ripercorre quei tragici eventi. Il materiale, di proprietà dell’Unirr (l’Unione dei reduci), è gestito dall’Ana, l’Associazione degli alpini. «Potremo guardare con occhi nuovi ai ricordi esposti, alle immagini, alle parole, agli sguardi vuoti di speranza – dice Fabio Pasini, numero 2 a livello nazionale, presidente della sezione Monte Suello, che raggruppa le penne nere del Garda bresciano e della Valle Sabbia -. Una mostra forte, che ci farà ricordare dolori, ansie e angosce di uomini che hanno fatto la nostra storia. Rivolgo, in particolare, un invito ai ragazzi delle scuole e agli insegnanti perchè attraverso il ricordo di gente valorosa sappiano cogliere una grande lezione di vita, spiegata da immagini che non hanno più niente a che vedere con la politica o il giudizio». Domenica, alle ore 16.15, alla presenza della Fanfara degli alpini di Salò, verrà reso omaggio ai caduti, davanti al monumento di piazza Vittoria. Il corteo si dirigerà poi verso Palazzo Coen, per inaugurare la rassegna, che rimarrà aperta fino al 25 febbraio. Orario: 16-19 da lunedì a venerdì, il sabato e la domenica anche dalle 10 alle 12.

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