venerdì, Aprile 19, 2024
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El Ciancòl ovvero il base ball di “quarta segata”

Si giocava prevalentemente nelle piazze perché era necessario avere uno spazio abbastanza grande per due squadre di tre, quattro o più giocatori.

Era necessario disporre di un bello spiazzo e, a quei tempi, le piazze o i sagrati delle chiese erano i luoghi del miglior ritrovarsi anche per i giochi: si riempivano spesso di grida e di corse, di giochi e di schiamazzi fino a sera anche nei tempi di scuola.

Il gioco si può paragonare all’americano base-ball, un base-ball però di quarta segata, anche se, invece, i ragazzini fiorentini attorno al 1500, lo giocavano molto in quella città già nobile e sembra che lo abbiano passato fino a noi; si chiamava “il gioco della Lippa”.

Gli attrezzi, in pratica due pezzi di legno, li preparavano i ragazzi ognuno per sé e con molta attenzione, scegliendo prima un ramo da un albero, per farlo diventare poi un bastoncino lungo 10/12 centimetri e con un diametro di circa un centimetro, e con un coltellino ben affilato gli si faceva dopo una bella punta (come quella delle matite) da ambo i lati.

Questo era il Ciancól vero e proprio, che doveva essere colpito con la Canèla assestando una prima legnata su una delle due punte per farlo rimbalzare un poco e riprenderlo al volo per lanciarlo lontano, molto lontano, con un’altra legnata ben assestata.

La Canèla, in pratica un altro bastone un poco più grosso e più lungo era la mazza per colpire e scagliare il ciancól il più lontano possibile.

Le dimensioni di questa erano di 50/60 centimetri per la lunghezza e di circa due, o poco meno, centimetri di diametro.

Gli attrezzi erano fatti col legno delle piante che crescevano sulle scarpate e delle rive dei fossi, quindi erano preferiti il rubino, o il platano, qualche volta l’olmo (ormadèl), magari sottratto da una fascina ed anche di nocciolo.

Si cominciavano a preparare d’inverno perché fossero pronti per la primavera e l’estate avendo cura di togliere ben bene la corteccia e livellare i nodi; non c’era pialla, solo pazienza ed un buon coltellino affilato che quasi tutti i ragazzi avevano ed usavano soltanto per il gioco, per temperare le matite, per incidere le cortecce di qualche albero, ed anche qualche banco della scuola. Le regole e le dimensioni degli attrezzi potevano essere fissate dai giocatori e controllate prima dell’inizio del gioco.

Athos (Ragazzini) ci racconta quella adottata nel Collegio Civico di Salò nell’anno 1949 dove allora “diceva” di studiare: Canèla di circa 60 centimetri, pari alla lunghezza di quatèr Ciancói e na mà, quattro Ciancói ed una mano, la dimensione della parte da impugnare; Ciancól de des öndès ghèi, dieci/ undici centimetri; Cianculì era di diametro più piccolo, un centimetro, ma una volta ben colpito andava molto lontano anche 50/60 canèle.

Un manico di scopa poteva anche essere, come sta scritto su qualche manualetto di ricerca, opportunamente ridotto, ben adatto, ma non è da ritenersi credibile fino alla fine degli anni 40 e al massimo 1952/53 epoca dove era già scarsamente possibile giocare nelle strade.

Si pensi all’aumento delle auto e la televisione che cominciò nel 1954, si può affermare che non se ne siano visti quasi mai di manici di scopa; aveva dei costi e non poteva essere tagliata per il gioco quando diventava inservibile, semmai era usata per qualche botta sul sedere da parte dei genitori per il trascurare i quaderni ed il troppo giocare.

Ora vediamo le regole: si può giocare a squadre, oppure singolarmente; ognuno per sé. Necessario fare la conta per stabilire chi “sta sotto”, in pratica chi deve battere il ciancól; la conta si fa a “par o dispèr” cioè pari o dispari, o “bim bum bam”, oppure il classico “la Madóna d’i limù la va fin a trentadù” e si conta in giro battendo sul petto dei contati fino a trentadue; si traccia, con la canèla o con un sasso appuntito detto sgàia, un cerchio del diametro da 5/6 passi a circa 10 secondo lo spazio di gioco, quello libero nella piazza.

Al centro del cerchio si mette il ciancól dove va il battitore (quello che “sta sotto” e che è stato designato dalla conta) mentre gli altri giocatori, fuori dal cerchio, attendono la battitura per colpire e ribattere a loro volta; la battuta si fa in due tempi, colpendo il ciancól una prima volta su una delle punte per farlo roteare e sollevare abbastanza da colpirlo nuovamente ed al volo per lanciarlo con forza il più lontano possibile; il battitore nel momento del suo lancio deve gridare ciancól!

Gli altri devono pure gridare chèl vègne! cioè che venga. Il gioco è cominciato (si possono fare solo tre tentativi di lancio senza essere eliminati).

Stiamo attenti a cosa può succedere adesso e come si vince (o si perde): se il ciancól viene preso al volo da uno dei giocatori riceventi (difensore), è immediatamente eliminato il battitore; se il ciancól invece cade sul terreno, il più vicino dei difensori lo deve ribattere con la sua canèla per rimandarlo nel cerchio della partenza e dove il battitore lo ostacolerà cercando di respingerlo con un altro colpo al volo.

Se però il ciancól cade all’interno del cerchio viene eliminato il battitore; se invece il ciancól cade sul terreno nel caso in cui il difensore non abbia raggiunto il cerchio con suo rilancio ed anche se il lancio e la caduta sul terreno (quindi fuori dalle possibilità di tiro al volo) sia dovuta al rilancio da parte del battitore, quest’ultimo può comandare un patteggiamento per l’assegnazione del punteggio. E qui comincia una sorta di trattativa e di calcoli e poi di misurazioni, spetta al battitore fare la prima dichiarazione ed il difensore può accettarla o contestarla; la misura è determinata dal numero di canèle e cioè del bastone, che distano dal limite del cerchio di battuta. Singolare la misurazione fatta spesso in accompagnamento quasi in coro, e con il battitore che ruota la sua canèla chinato e segnando ogni dieci numeri una riga sul terreno seguito da tutti i giocatori;

Quante mèn dét? chiede il difensore

Tèn dó sinquanta risponde il battitore

L’altro può accettare e perde, oppure non accetta e risponde gh’en dise!

Quindi si misura; se il risultato è inferiore al dichiarato (nel nostro caso cinquanta) perde chi l’ha dichiarato e cioè il battitore ed il numero delle canèle contate diventa punti da assegnare al vincente, se invece è superiore vince e guadagna in punti il numero delle canèle risultato.

È necessario aggiungere un’altra cosa.

Siccome il Ciancól sbattuto con la Canèla, salta, rimbalza, gira e gira ha permesso di indicare con il suo stesso nome una persona, svagata, che cambia opinione di frequente, che non sa prendere decisioni, insomma che non ha una linea definita di comportamento.

La battuta (a voce stavolta) è dire ad uno “te sèn ciancol”, mentre la malizia è dire in giro “chèl là l’è’n ciancól”.

Del piccolo legnetto che girava e girava, prendendo legnate, ma contento di far giocare e anche litigare è rimasta solo questa eredità nel nostro dialetto.

Bibliografia e ringraziamenti

G.B.Melchiori – Vocabolario bresciano – italiano. ed 1817 – ristampa anastatica 1985 da la Nuova Cartografica –Brescia

Storia di Brescia – da Treccani per Banca San Paolo -1961 – Morcelliana editrice -Brescia

Ennio Bonizzardi – Tana libera per tutti – Compagnia delle Pive – Vobarno

e poi dalla voce e dalla memoria dell’autore e di quella dei già esperti giocatori:

Bertazzi Aldemaro, Bertoli Eugenio, Floriani Rinaldo, Pittigliani Nando, Ragazzini Athos, Rossi Luigi, Schena Nando, Tommasi Robertino (in ordine alfabetico e quasi di età).

(tratto da “i quaderni del Rigù”)

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