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Nella notte del 5 ottobre di cinquant’anni fa saltò in aria al Trimelone il cantiere per la lavorazione di residuati bellici Gardesana bloccata dai detriti, tetti rotti ad Assenza, bonifica ancora senza soldi

Esplode l’isola, tre giorni di paura

Aveva solo undici anni quando la notte del 5 ottobre 1954, verso le 23, un terribile boato devastò l’isola Trimelone. Come tutti i residenti di Assenza anche Francesco Consolini, in paese conosciuto come Franco, scese di precipizio in strada mentre tutto attorno era un continuo piovere, da ogni parte, di schegge e di pezzi di cemento armato provenienti dalla vicina isola, trasformata nel 1930 in cantiere per la lavorazione dei residuati bellici della Grande Guerra. Tre giorni durarono le esplosioni con la strada Gardesana bloccata dai detriti e con il servizio di pullman di linea costretto a trasbordare i passeggeri da un mezzo all’altro dopo che questi dovevano percorrere alcune centinaia di metri a piedi tra i sassi scagliati con veemenza dall’isola in fiamme. Impossibile dimenticare quel risveglio assordante, l’ansia, i minuti e le ore concitate ma soprattutto la paura. «Tanta, davvero tanta. Tutti i vetri delle case di Assenza andarono in frantumi e molti tetti rimasero danneggiati», ricorda Consolini mentre sotto un cielo cupo osserva l’isolotto di 4165 metri quadri ora abbandonato e off limitis per tutti. I fondali tutto attorno a questo lembo di terra sono infatti ancora disseminati di ordigni inesplosi finiti in acqua in seguito all’esplosione del cantiere di dispolettamento della ditta Catelani. Ad oggi, a parte le bonifiche mirate per far brillare qualche bomba bellica tornata in superficie complice i livelli del lago basso, non è mai stato predisposto una completo lavoro di risanamento dell’intera area. Il motivo? Semplice: lo Stato non ha i soldi e i vari ministeri interpellati dai sindaci di Brenzone che si sono susseguiti nel corso degli anni hanno trovato di fronte a loro un muro di gomma. Si era illuso nel 1998 l’allora primo cittadino Giovanni Zappalà di aver centrato l’obiettivo. D’altronde le carte parlavano chiare con la Presidenza del consiglio dei ministri che invitava il ministero della Difesa a provvedere alla bonifica dell’isola. Un lungo silenzio poi nel settembre 2003 la risposta beffa giunta dal ministero dell’Economia e delle finanza: «Non esistono attualmente stanziamenti destinati a tale scopo». Di tutto questo al momento non si preoccupa Franco Consolini con la memoria ancora fissa al passato quando l’isola era fonte di lavoro per donne e uomini della zona. Da un piccolo gruppetto di operai si passò al ragguardevole numero di trenta. «Ogni tanto andavo su quell’isola a trovare papà, impiegato come il fabbro. È stato uno dei primi a lavorare per l’impresario Angelo Catelani, e l’ultimo a lasciare dopo il fallimento della ditta, nel 1959. Ogni mattina a bordo di una motobarca diesel gli operai partivano dal pontile, prima di Villa Elena poi dal 1953 dal porticciolo di Assenza, per sbarcare dopo pochi minuti sull’isola. Nel cantiere l’inizio, la pausa e la fine del lavoro veniva regolamentato dal suono prolungato di una sirena udibile a parecchi chilometri di distanza. Per reperire i residuati bellici, sparsi sulle coste o nei fondali del Benàco, venivano impiegate la Veronica (l’attuale Siora Veronica), possente barcone in ferro munito di argani e speciali rastrelli per agganciare mine, bombe e armi di vario genere, la «Rosangela», barcone in legno molto veloce utilizzato per il trasporto del materiale, e la barca d’appoggio San Michele. E proprio il San Michele s’intravede all’àncora, davanti al porticciolo dell’isola (là dove oggi è presente un grande macchia di cespuglio a su dell’isolotto), nell’immagine scattata all’alba, a poche ore dall’esplosione, dal fotografo di Malcesine Franco Toninelli. Una gigantografia che Consolini mostra come fosse una reliquia. «La cercavo da tempo. Mi ricordo ancora quando in sella alla sua Lambretta il fotografo, l’unico della zona, giunse in paese per immortalare l’isola menomata dalle continue esplosioni e avvolta da colonne di fumo intenso che si perdevano nel cielo». Parla, Consolini, e gira e rigira tra le sue mani la mani la foto regalatagli da Loris, il figlio di Toninelli. A cinquant’anni da quel terribile boato, per fortuna senza morti e feriti, il pensiero è ancora fisso a quei giorni, ai volti dei genitori, allo sgomento dei paesani. Non vuole dimenticare ma soprattutto «soffre» nel vedere che molti, tra i giovani del luogo, non sanno nulla di quell’ottobre del 1954. Anche per questo ha promesso di scrivere un libro, di mettere nero su bianco la cronaca di quei giorni che cambiarono la vita e il lavoro di molti abitanti della piccola frazione. «Fra un anno andrò in pensione» conclude il dipendente del consorzio funicolare Malcesine- Monte Baldo, e« il giorno dopo inizierò la mia missione di topo d’archivio».

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