venerdì, Aprile 26, 2024
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Giusti, 74 anni, nel 1960 emigrò a Melbourne senza un soldo in tasca e insegnò a tutti come si tosta il caffè. È il principale marchio australiano, ma è nato tra una fuga in Arena e Albaredo

Giancarlo «Coffee» parla veronese

Italiano il nome, italiano l’uomo che, come scrive un noto giornale di Melbourne «…più di ogni altro ha contribuito a far conoscere ed apprezzare la bevanda più italiana a Melbourne e in Australia».Il nostro mister Giancarlo non è stato soltanto un grande imprenditore, ma è tuttora un noto personaggio che ha sfondato come pochi immigrati in quel Paese, nella società australiana, fino a divenire amico di uomini politici, campioni dello sport, attori, intellettuali, artisti italiani e stranieri e, soprattutto, dei giovani e della gente di ogni ceto, perché Giancarlo e il suo caffè sono entrambi irresistibili. La sua popolarità è confermata dalle sue frequenti apparizioni sulle pagine di importanti quotidiani e periodici, ed essendo anche veronese non poteva mancare sulle pagine dell’Arena.Ecco la sua favolosa scalata economica e sociale in terra straniera, la sua vitale passione per la lirica, il suo amore per Verona e la sua fortuna.La storia di Giancarlo Giusti, 74 anni, nato ad Albaredo d’Adige, assomiglia a tante altre di emigranti che hanno fatto fortuna, ma per certe sfumature questa ha una sua originalità perché legata a doppio filo al caffè all’italiana. Giancarlo, pur ben inserito nella comunità dei connazionali residenti a Melbourne, aveva scelto sin dall’inizio di vivere come gli australiani, frequentando assiduamente il teatro per la prosa, i concerti, la lirica, le conferenze, per le manifestazioni di solidarietà. Per tutti il suo nome era «Giancarlo Coffe».L’avventura ebbe inizio il giorno di San Giuseppe del lontano 1960. Il paese gli stava stretto e allora la grande decisione: una cabina sulla nave Roma in partenza da Genova e 30 giorni di navigazione per arrivare a Melbourne, dove viene accolto e ospitato da una coppia di amici italiani.Per l’Australia è un momento difficile, c’è crisi e trovare lavoro è problematico. Lo aiuta don Giuseppe Molon, un prete originario di Gazzolo di Arcole, che lo fa assumere da un’azienda agricola. Ma Giancarlo dura poco, preferisce sfruttare quel poco imparato da ragazzo nel negozio di alimentari della sua famiglia e si mette a vendere pasta, pomodori e altri prodotti ai ristoranti italiani, finché non fa l’incontro della sua vita con il caffè. Inizia come rappresentante e si rende conto che è un mercato interessante, pensa di mettersi in proprio.«Non avevo soldi», racconta, «e nemmeno amici in grado di prestarmeli, così sono ricorso a un australiano approfittando dell’amicizia con le sue due figlie che io portavo sempre a ballare sulle navi italiane, dove davano sfarzose feste nel periodo di sosta nel porto. Le ragazze perorarono la mia causa con i genitori e ottennero ben mille sterline australiane. Feci società con un altro veronese, Carlo Brunelli, e così partì il primo negozio. Vendevo il caffè della ditta per la quale avevo lavorato come rappresentante. Si viveva abbastanza bene ma niente di straordinario, tanto che, ad un certo punto, fui preso da una crisi nostalgica e tornai in Italia. Eravamo nel 1964, andai a Londra per imparare bene l’inglese, ma ritrovai molti amici australiani i quali mi convinsero di tornare a Melbourne, che ormai stava diventando un ricordo ma rimaneva comunque un forte richiamo. Mi lasciai persuadere e varcai nuovamente l’oceano. La nuova vita riparte da zero».Dopo tre anni con un ristorante riecco il «mal del caffè», un pallino che non lo lascia dormire, finché decide di vendere tutto al socio e mettere in piedi una bottega con tostatura. Una cosa in piccolo, il tostacaffè da 10 chili alla volta. Gli affari vanno bene, in una settimana, fra consumo al banco e confezioni, si vendono circa 300 chili di prodotto. È un momento favorevole per tentare lo sviluppo della piccola azienda. Con un primo investimento acquista un nuovo stabile, un nuovo grande tostacaffè e assume tre operai.La produzione passa in fretta a due tonnellate di caffè alla settimana, ma non bastano. Altro investimento e altro balzo di produzione fino a superare le sei tonnellate. Non bastano ancora. È un successo da far venire le vertigini e Giancarlo si lascia portare dall’onda: investe tutti i suoi risparmi e ricorre a un prestito bancario per giocare la carta vincente e divenire il Re del caffè: compera un enorme stabile e vi piazza tutta una catena di nuovi macchinari e decine di operai.Il personale addetto supera le 60 unità, le tonnellate si avvicinano a quota 20 per settimana. L’aroma del suo caffè ha ormai invaso l’intera Australia. Il prodotto va a ruba e il personaggio Giancarlo finisce sui giornali insieme al suo locale, il «Grinders Coffee» divenuto ormai il punto di riferimento più noto e frequentato di Melbourne. Anche perché Giancarlo aveva fatto una saggia politica per farsi conoscere e apprezzare specialmente dai giovani, senza investire un solo dollaro in pubblicità. Ogni sera, alla chiusura del Grinders Coffee, una fila di ragazzi e ragazze, con in mano bottiglie, pentolini, tazze e scodelle, facevano provvista di caffè. Erano gli studenti della vicina università che per tenersi svegli a studiare durante la notte si premunivano di abbondanti quantità di caffè che Giancarlo distribuiva gratuitamente svuotando le riserve della giornata e aggiungendone di fresco. Così diventò il grande amico di tutti.La fama di questo caffè e del suo vate varca ben presto i confini della capitale, la stampa ne parla, le più note riviste australiane, tra cui Epicureo e Good Food Guide gli dedicano ampi servizi e Giancarlo arriva a sponsorizzare la Formula 1 in Australia e una squadra di calcio.«Finalmente ero arrivato, ma in tutto quel tempo di lotta e di successo non ho mai staccato la spina con l’Italia. Ogni estate ho trovato il tempo per una vacanza di un mese o due da dedicare alla stagione lirica di Verona, qui intendo acquistare una bella casa. Non ci sono chilometri che mi possono separare dalla gioia di una serata in Arena. Mi capita spesso, mentre mi godo un’opera, seduto comodamente su una poltronissima, in quell’atmosfera di sogno, di pensare a quando da Albaredo si partiva in bicicletta per l’Arena, sotto un sole cocente e si tornava a casa al mattino verso le 5, tutti imbiancati dalla polvere della vecchia strada Ronchesana. Una passione quella per la musica e la lirica, che ho sempre coltivato anche in Australia, dove non ho mai perduto un’opera e i grandi Di Stefano, Bergonzi, Renata Scotto, Ivo Vinco, Maria Chiara, tanto per citare i più intimi, quando giungevano a Melbourne venivano sempre a trovarmi. Eravamo grandi amici e dopo spettacolo ci si trovava per cenare assieme e tirare mattina parlando di musica e dell’Italia. Dopo il grande concerto dei tre tenori ho trascorso una serata indimenticabile a tavola con loro. Erano grandi artisti e io ero orgoglioso perché facevo il più buon caffè italiano di tutta l’Australia e mi sentivo gratificato nel vedere il mio caffè portato in cima all’Everest dal grande Peter Hillary, figlio di quel Sir Hillary, che passò alla storia per essere stato il primo conquistatore della più alta vetta del mondo».Oggi la sua botteguccia è diventata uno stabilimento con oltre 70 operai e produce decine di tonnellate di caffè la settimana, che vanno in giro per tutta l’Australia in confezioni che portano il nome di Giancarlo.Ma non è stato lui a porre il suo nome sui sacchetti, bensì una multinazionale che ha voluto a tutti i costi acquistare quel gioiello di fabbrica per produrre il Giancarlo Coffee.«È accaduto che l’anno scorso mi telefonò un signore presentandosi come il presidente della CC.Amati, l’industria che produce la Coca cola. “Vorrei acquistare la Grinders Coffee”, mi disse. Pensavo si trattasse di uno scherzo e risposi di inviarmi una e-mail e di ritelefonare l’indomani. Cosa che puntualmente accadde ed io rimasi spiazzato. Non sapevo che fare, non avevo nessuna intenzione di abbandonare quella mia creatura, che tanto mi era costata ed amavo. Usai l’arma del prezzo impossibile per non vendere, ma il mio interlocutore non ha fatto una piega. Mi ha proposto un insignificante sconto e con una stretta di mano l’affare era concluso. Non riuscivo a crederci, mi sembrava un sogno. Invece era tutto vero. Mi hanno chiesto loro di chiamare il prodotto Giancarlo Coffee e di scriverci sotto il mio slogan “Coffe is my life” e per questo mi pagano le royalty, oltre, naturalmente, all’affitto dell’immobile della fabbrica. Ma forse sto ancora sognando».La stampa australiana ha dato ampio spazio alla notizia dell’affare e un giornale ha scritto: «Il marchio Giancarlo che la nuova Grinders ha voluto implica certamente motivi economici, ma costituisce anche un riconoscimento e una dedica al fondatore dell’industria. Ma i meriti di Giancarlo non hanno prezzo».

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