venerdì, Aprile 19, 2024

I prof. del Bagatta

Il liceo scientifico venne istituito al Bagatta proprio l’anno in cui mi iscrissi io. I miei genitori ebbero la felicissima intuizione di iscrivermi al liceo, anziché a un istituto tecnico: i ragazzi del nostro ceto sociale preferivano un ciclo di studi breve, che finiva con un “diploma”. I miei vollero osare, investendo sul futuro. Ma il liceo era ancora una scuola per “sciuri”: benché mescolati, erano più a proprio agio i figli dei “ricchi” (il notaio, l’ingegnere, il farmacista…). Non ho un bel ricordo del periodo del liceo: non legavo con i miei compagni, chissà perché.

I professori che ricordo erano tutti bravissimi (quasi tutti…), anche se non ho conosciuto, purtroppo, i prof. del “classico”, i mitici Zago, Marcolini, Franchini, Tanzini.

La signorina Merli insegnava la matematica con una passione, un trasporto che probabilmente non eravamo in grado di apprezzare. Non pretendeva molto: solo che si imparasse la matematica. E in questo era spietata, ed è il complimento più bello che le si possa fare. Nessuno accetterebbe di essere curato da un medico pietoso: e allora perché accettare la pietà da un insegnante? La scuola dell’obbligo si fermava, allora, alla terza media e non era ancora intesa come l’obbligo di passare il tempo a scaldare i banchi fino allo scadere dell’obbligo scolastico. Ogni studente dovrebbe sentire l’obbligo morale di cogliere tutte le occasioni che la Scuola gli offre per imparare. La signorina Merli la intendeva così e chi non lo capiva si autoescludeva: in seconda liceo, in una classe di 25, ci furono tredici rimandati in matematica!!

Con il prof. Bazoli eravamo villani: è un termine inadeguato, ma non ne trovo uno più adatto ad esprimere la mancanza di rispetto con la quale trattavamo questo scienziato troppo buono a cui il destino aveva riservato, a fine carriera, una classe di rozzi, incivili, maleducati, immaturi bifolchi quali siamo stati per tutta la durata del corso di studi.

Un anno, in quarta, abbiamo avuto una prof. di filosofia che ci dettava gli appunti. Non ricordo il nome, ma solo il soprannome, che non riferirò, per decenza. Anche se si vantava di frequentare eminenti esponenti del mondo scientifico, aveva uno strano metodo di insegnare. Quando ci interrogava, voleva sentire solo i suoi appunti. Quando l’abbiamo capito, abbiamo adeguato il nostro metodo di studio: solo gli appunti a memoria e nulla più. Risultato: bei voti, cultura zero. Tutti ignoranti, ma tutti promossi!

L’architetto Perini è stato il più geniale. Potrei fare un elenco degli argomenti trattati nelle sue lezioni: diapositive di un suo viaggio in Grecia, per vedere gli esempi più insigni dell’architettura; idem di un viaggio in USA e Canada; l’evoluzione urbanistica di Roma nei secoli, dall’Impero a oggi; illustrazione di un suo progetto di una chiesa, in collaborazione con un sociologo ed un teologo. Ogni lezione era una sorpresa. Forse non rispettava fedelmente il programma ministeriale, ma le sue lezioni sono quelle che in assoluto mi sono rimaste più impresse.

Ma il ricordo più bello è del prof. De Pero. Sapeva rendere appassionante qualunque argomento. Le sue lezioni spaziavano da Dante a Joyce, dal Tasso al Verga con la medesima competenza e profondità. Oltre alla Divina Commedia, che abbiamo letto quasi per intero, in quinta ci ha convinto che valeva la pena di leggere “I Promessi sposi” e l’Adelchi, anche se non facevano parte del programma d’esame. Con lui, in latino, avevo 9: il voto più alto mai preso in tutta la mia carriera scolastica. Quando ci leggeva Manzoni o Cicerone, sembrava che li conoscesse a memoria: lo ascoltavamo a bocca aperta, come i bambini ascoltano le fiabe. E quando la lezione finiva, veniva da dire: “Ancora!”.

Dopo qualche anno, passato al “classico”, il prof. De Pero ha lasciato la scuola: una grave perdita per tutti gli allievi che non hanno fatto in tempo ad approfittare della sua conoscenza e del suo modo, indescrivibile, di appassionare allo studio di una materia inutile come la letteratura, in un mondo frettoloso e spensierato, in cui l’importante è avere successo, non fa niente quanto si è ignoranti.

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