sabato, Aprile 20, 2024
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Anche i primi cittadini veronesi domani spediranno il simbolo tricolore al presidente Napolitano

I sindaci consegnano la fascia

Ben 174 dovrebbero essere le fasce tricolori che i sindaci dei comuni del Nord Italia, confinanti con regioni a statuto speciale e con Svizzera e Austria, spediranno domani pomeriggio da piazza Duomo di Milano al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.L’adesione ai principi è unanime, sul metodo ci sono dei distinguo: spedire la fascia tricolore, seppure in copia e come gesto di resa, non è ad esempio condiviso da Luca Manzelli, sindaco di Dolcè, l’unico fra gli otto sindaci veronesi a dissociarsi.Ci saranno invece, personalmente o con un loro delegato, Virgilio Asileppi (Brentino Belluno), Valente Chincarini (Malcesine), Valentino Marconi (Sant’Anna d’Alfaedo), Claudio Melotti (Boscochiesanuova), Paolo Rossi (Ferrara di Monte Baldo), Silvano Valcasara (Selva di Progno) e Remo Valbusa (Erbezzo).Manzelli non approva il metodo: «Condivido le ragioni della protesta, ma non vado a Milano, intanto perché uno sforzo c’è stato da parte del governo di portare da 20 a 25 milioni di euro il fondo destinato ai comuni confinanti; poi perché la notizia è uscita sugli organi di stampa prima che il nostro presidente ce ne rendesse partecipi», sottolinea.La stoccata è per il bresciano Marco Scalvini, sindaco di Bagolino e presidente di Ass.comi.conf., l’associazione di comuni confinanti che li rappresenta dal Piemonte al Veneto.Sua l’idea della protesta, «un gesto di resa della “periferia” nei confronti dello Stato centrale dopo il silenzio istituzionale intercorso a seguito dei mancati finanziamenti dovuti e promessi», ha spiegato Scalvini. Non è piaciuto ai comuni contestatori che questi soldi non finiscano direttamente nelle casse comunali di chi ne ha diritto, ma in quelle delle Regioni che poi li distribuiranno secondo progetti specifici che interessino le aree di confine. Un meccanismo che rischia di allungare i tempi e complicare le cose.«Ma a noi questi soldi interessano oggi per far quadrare il bilancio corrente e offrire ai cittadini la garanzia di mantenere i servizi minimi promessi», avvertono i sindaci.«Il nostro problema non è fornirci di strutture nuove, ma di garantire stabilità ai servizi che con fatica eroghiamo alla popolazione», aggiunge Manzelli, che insiste nella necessità di cercare il dialogo e un confronto con il governo, al di là di proteste non sempre appropriate.Ferrara di Monte Baldo e Selva di Progno sono, su versanti opposti della nostra provincia, i due comuni più piccoli coinvolti: 200 abitanti il primo, poco meno di mille l’altro.«Assistiamo a un progressivo spopolamento e non abbiamo in montagna tante case o capannoni da garantirci entrate sicure con l’imposta comunale sugli immobili. Ci dicono di preservare l’ambiente montano, ed è giusto, ma concedere nuove lottizzazioni pare ormai essere l’unica strada per garantire un reddito anche ai piccoli comuni», dice sconsolato Paolo Rossi di Ferrara.«Siamo comuni destinati a scomparire per mancanza di popolazione e quando manca la risorsa umana manca anche ogni presidio del territorio», aggiunge il sindaco. «È bello che sul monte Baldo sia tornato l’orso, ma è anche un segnale preoccupante perché significa che non c’è più anima viva, in un territorio reso selvaggio dall’abbandono».«A Selva abbiamo problemi di spesa corrente: quei soldi non ci servono per strutture, ma per dare continuità al servizio scolastico, per pagare il prezzo stratosferico del gasolio da riscaldamento, per le centinaia di chilometri che ogni giorno i nostri scuolabus percorrono da una contrada all’altra», sottolinea il sindaco Silvano Valcasara, che si dice uomo convinto della Repubblica, «ma che sceglie di stare dalla parte dei cittadini».

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