martedì, Aprile 16, 2024
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Le raffigurazioni medievali dell’episodio evangelico raccontano anche quali cibi si mangiavano all’epoca

Il banchetto appare in sei chiese del Garda

Con quello ritrovato a Sant’Antonio, a Biasa, salgono a sei gli affreschi dell’Ultima Cena presenti nelle chiese «minori» del Garda veronese. Due sono a Torri del Benaco: alla Trinità, sul porticciolo, e a San Giovanni. Un altro è ad Assenza di Brenzone, a San Nicola. Due nell’entroterra: a Santa Cristina di Ceredello, a Caprino Veronese, e a San Bartolomeo, alla Caorsa di Affi. Tutte sei offrono suggestioni religiose e artistiche. Ma anche gastronomiche. Perché, come scrive uno dei maggiori medievisti italiani, Massimo Montanari, «le numerosissime raffigurazioni medievali dell’episodio evangelico dell’Ultima Cena, legate alla cultura e all’esperienza dei singoli autori pur nel rispetto di certi canoni formali simbolicamente connotati, sono una preziosa miniera d’informazioni sugli usi conviviali». Prendiamo il caso di Ceredello. Nell’Ultima Cena compaiono i gamberi, presenza che di primo acchito può sembrar bizzarra. Qelle figure hanno però un doppio valore. Il primo è simbolico. Alludono alla resurrezione: il gambero muta corazza, quasi uscendo da un sepolcro per nascere a nuova vita. Osserva inoltre Montanari: «Al di là del valore dell’animale come simbolo iconografico della resurrezione, si tratta di un genere di consumo assai familiare alla cultura alimentare del Medioevo». Nel Caprinese sono numerosi i corsi d’acqua, habitat del gambero. L’anonimo pittore del Trecento potrebbe aver dipinto il gambero a Ceredello perché l’animale simbolico apparteneva all’orizzonte alimentare del luogo. Altre le informazioni fornite dai due affreschi di Torri. Alla Trinità e a San Giovanni compaiono dei grossi pesci. Il pesce è certamente simbolo cristiano. Il fatto è che i pesci delle chiese torresane sono estremamente realistici. Quelli della Trinità sembrano trote o carpioni. La simbologia è estremamente radicata nel locale. In più, le due pitture parlano degli usi di tavola. Ai pesci è stata staccata con un taglio netto la testa. Uno solo, sull’affresco della Trinità, è intero, ma un Apostolo lo sta tagliando, e la lama passa tra testa e corpo. La testa tagliata non si butta, e in uno dei piatti la si vede. Non è questa la maniera di presentare oggi il pesce in tavola. Ma lo era quando venne dipinto l’affresco. Nel 1581 Vincenzo Cervio, celebre trinciante, ossia addetto al taglio delle vivande, spiegando «come si trincia la trutta», diceva: «Se la trutta sarà grande, tu la taglierai per il traverso, cominciando dalla testa; li lascerai attaccato con essa un dito di polpa e con grazia la porrai sopra un tondo e buttandovi il suo sale, la darai al tuo Signore per essere quella la miglior parte». Esattamente come si vede nell’affresco della Trinità, oppure in quello, spettacolare, di San Bartolomeo, in località Caorsa, ad Affi. La tavola della Caorsa è ricca. Ci sono pani, bicchieri, piatti coi pesci sezionati: in alcuni la testa, in altri la coda. Davanti a Cristo, un’alzata con un piccolo quadrupede privo di testa. La raffigurazione è un po’ ingenua: sembra un maialino da latte. In realtà, è un agnello. Evidente il richiamo: è Cristo, vittima innocente.

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