Incontro con Cesare Maestri, leggenda dell’alpinismo, in vacanza alle Terme. Al suo attivo 3mila scalate e spedizioni in ogni parte del mondo
Il «ragno» dei monti arriva sul lago
Si autodefinisce un tranviere, perché di gente, in giro per le «sue» Dolomiti, con le racchette da neve, ne porta ormai da decenni. Cesare Maestri, 75 anni il prossimo 2 ottobre, più noto come «Il ragno delle Dolomiti», grande scalatore, è in questi giorni a Sirmione per un breve periodo di relax. «Sirmione è bella, ha un entroterra splendido, — ha dichiarato il personaggio — però, vorrei dare un consiglio ai Comuni della zona: migliorate la segnaletica stradale per i percorsi ciclabili perché non si capisce un granché». Ai lettori che hanno già i capelli grigi, il nome di Cesare Maestri non lascia certo indifferenti. E anche a quelli più giovani, soprattutto se amano la montagna. Perché le leggende — e il «ragno delle Dolomiti» lo è da sessant’anni — restano scritte sui libri per sempre. Lo dimostrano le 3 mila salite e discese che ha compiuto, delle quali un terzo in solitaria e completamente in libera. Maestri ha, inoltre, preso parte alla prima spedizione trentina in Patagonia nel 1957, quindi, ha organizzato spedizioni alpinistiche in Africa e in Argentina, dove ha conquistato due anni dopo il temibile Cerro Torre, assieme a Toni Egger. Primo alpinista al mondo a scendere in arrampicata libera solitaria pareti di VI grado, ha scalato tutte le montagne delle Dolomiti più volte e da 40 anni svolge la professione di guida alpina a Madonna di Campiglio. Gli chiediamo se le Dolomiti devono guardarsi dall’assalto dei «rocciatori» della domenica. «I pericoli derivano, più che altro — ha risposto l’alpinista — da certe tecniche che usano gli arrampicatori sportivi, che possono rovinare le pareti». E i ghiacciai stanno davvero soffrendo? «No, si stanno mantenendo bene — ha detto ancora — almeno sul Brenta». Infine, una battuta sul perchè non abbia scalato gli ottomila. «Ho capito che avrei corso grossi rischi e allora una nipote mi disse — conclude Maestri — che la montagna è per vivere non per morire».