venerdì, Marzo 29, 2024
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Nelle isole dei Caraibi, patria del rum, questo liquore è conosciuto come rimedio per tutti i mali

Il rum ha origini corsare. Dai vascelli ai salotti

Nelle isole dei Caraibi, patria del rum, questo liquore è conosciuto come rimedio per tutti i mali. Esso nacque in questi fazzoletti di terra che punteggiano il paradisiaco Mare dei Caraibi, oggi meta di milioni di turisti, ai tempi in cui la pirateria era l’attività principale dei loro abitanti. Il suo nome potrebbe derivare da un boccale olandese detto rummel, o forse dal liquore malese brum, ma c’è anche chi sostiene che rum derivi dal nome latino della canna da zucchero, Saccharum officinarum. Nelle colonie ex-britanniche viene chiamato anche spirit of Caribbean, mentre i nativi gli danno, nelle varie isole, i nomi più diversi, da taffia a filibuster, da guildive a forest preserver, da hogo a hammond o babasy. Quanto agli spagnoli, infine, lo chiamano ron. Per parlare della nascita del rum bisogna tornare indietro di qualche secolo, alla prima metà del Cinquecento, quando gli spagnoli e i portoghesi importarono nei Caraibi la canna da zucchero per dare il via alla sua coltivazione in questi luoghi. Più tardi, intorno al 1600, a qualcuno venne l’idea di far fermentare per alcuni giorni le schiume della lavorazione della melassa, un residuo dell’estrazione dello zucchero dalla canna. Ne ricavò così una bevanda a metà tra la birra e il vino dolce, una sorta di sciroppo nutriente che con l’aggiunta di patate dolci e manioca fu distribuito come zuppa anche agli schiavi che lavoravano nelle piantagioni. Intanto i pirati avevano cominciato a schiacciare, triturare e bollire la canna da zucchero, ricavandone un liquore veramente forte che avevano chiamato muscovado. Nei Caraibi si racconta ancora oggi che, appena sbarcati nel Nuovo Mondo, gli spagnoli edificarono villaggi e chiese, gli olandesi fortificazioni, mentre gli inglesi si affrettarono a costruire, secondo la loro tradizione di buoni bevitori, delle drinking houses, ossia taverne dove chiunque poteva bagnarsi la gola. Probabilmente fu per rifornire queste osterie che qualche europeo portò dal Vecchio Continente un alambicco di quelli usati nella Charente per il cognac. Agli intrugli ottenuti con un procedimento di pestaggio e mescolamento si sostituirono allora i distillati. Ogni isola caraibica imparò a fare un proprio rum, con una caratteristica che lo rendeva diverso dagli altri, variandone il gusto con l’aggiunta di diversi frutti tropicali o spezie. Il rum, o meglio il kill devil (ammazza diavoli), era nato. La bontà di un rum è dovuta a un insieme di elementi: la qualità del midollo estratto dalla canna da zucchero, l’aroma, il colore e non ultimi i metodi e i tempi d’invecchiamento. Esistono due tipi di rum. Quello detto industriel è il prodotto della distillazione della melassa con l’aggiunta di schiuma, lievito, acqua e aromatizzanti che variano da produttore a produttore. Il rum agricole, invece, deriva dal succo che si ottiene direttamente triturando la canna, lasciato fermentare tre o quattro giorni e poi distillato. Entrambi i tipi di rum vengono distillati due volte, o secondo il metodo tradizionale (si ottengono così rum forti) o secondo quello frazionato (rum più leggeri e miscelati). Dagli alambicchi, rigorosamente di rame, esce una sorta di grappa bianca di 55-80 gradi, che viene messa a stagionare in piccole botti di quercia dove, ingentilita dal legno, diventerà rum e assumerà diversi aromi a seconda dei residui di whisky, cognac, bourbon o cherry presenti. Qualcuno miscela i diversi tipi di rum o i due distillati, altri formano un blend con prodotti di annate diverse. Il periodo ottimale di invecchiamento è di dieci-quindici anni, al termine dei quali il rum raggiunge una gradazione di 70 gradi; a questo punto lo si diluisce con acqua in modo che la gradazione scenda a circa 43 gradi e lo si imbottiglia. Tra le innumerevoli qualità di rum, tutte provenienti da isole dei Caraibi come Cuba (dove si distillano ron leggeri), Giamaica (più forti), Haiti (più profumati), oppure dalla vicina terraferma di Guyana o Venezuela, quello delle Isole Vergini britanniche è davvero speciale. La sua produzione è limitata, ma la qualità alta. La distilleria di Michael Callwood, nell’ Isola di Tortola, è una delle più famose fra le molte funzionanti in questa zona. Il suo fondatore, dopo essere stato a lungo al seguito del famoso pirata Barbanera, si ritirò qui. Il suo pregio è dato dalla mistura di spezie, un segreto tramandato per secoli di padre in figlio: oggi la Callwood Distillery, oltre ad essere la più vecchia fabbrica di rum dei Caraibi orientali, è anche una delle più famose. Eppure quando la si visita, si rimane a dir poco perplessi. Il tetto casca letteralmente a pezzi, la cantina-magazzino è drappeggiata da ragnatele e l’asmatico macchinario per triturare la canna da zucchero avrà quasi un secolo. Per non parlare degli alambicchi per la distillazione, degni dell’antro di uno stregone, e del fuoco per riscaldarli, acceso in una buca scavata nella terra e alimentato con gusci di noci di cocco. Un tubo arrugginito riversa il prodotto all’esterno, mentre le botti di quercia, dove viene messo a stagionare quello che diventerà un rum scuro, sono le più vecchie di tutte le Isole Vergini Britanniche. A Tortola è d’obbligo anche una sosta da «Pusser’s», lo storico e favoloso pub dove si vendono distillati di produzione propria e un’ampia scelta di altri rum: il suo motto è «Tutto ciò che è liquido può essere bevuto». Per più di trecento anni tutti i marinai di Sua Maestà Britannica hanno ricevuto per legge una robusta razione quotidiana del superbo blend prodotto dalla Pusser’s: dal 1655 al 1970 questo liquore è stato considerato il migliore compagno dei naviganti. Dal 1970 la quantità di rum distribuita sulle unità della Royal Navy è diventata facoltativa; ma la marca è sempre la stessa, secondo un preciso accordo sottoscritto a suo tempo da Jack Tars, fondatore della Pusser’s, e l’Ammiragliato britannico. Nato dalla necessità di trovare un carburante per le gozzoviglie piratesche, il rum fu all’inizio solo uno dei tanti intrugli «torcibudella» in circolazione nelle taverne. Ma col passare dei secoli è divenuto un distillato sempre più raffinato. Mario Bussoni

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