venerdì, Aprile 19, 2024
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Ieri la presentazione del nuovo sistema Olfil. Al via il nuovo magazzino da 4 miliardi. All’interno dello stabilimento un museo che guarda al futuro

Marzoli, il Duemila anno zero

Ad Attilio Camozzi è tornato il sorriso. In realtà, al patron dell’omonimo gruppo industriale bresciano al quale fa capo, fra le altre, la Marzoli di Palazzolo, la serenità non è mai venuta meno in questi anni anche se, confessa oggi, più d’una notte s’è trovato a meditare su quel che, più che una scommessa, appariva un azzardo: comprare e risanare la Marzoli di Palazzolo, azienda meccanotessile di grande blasone negli anni passati andata in disarmo dopo diversi passaggi di proprietà: alcuni sfortunati, altri disgraziati per non dire altro. In questi ultimi 12-15 anni poche altre imprese hanno avuto un tourbillon di passaggi di proprietà come la Marzoli. Risultato: negli ultimi anni l’azienda si è “bevuta” qualcosa come 120 miliardi. Un buco spaventoso, una voragine capace di affossare un marchio glorioso. Così non è andata: poco meno di 400 posti di lavoro sono stati salvati, un patrimonio di conoscenze e di storia può continuare a restare in terra bresciana: «Sarebbe stata follia disperdere tutto questo – dice Attilio Camozzi -; Marzoli continua ad essere un marchio mondiale per l’industria bresciana, un po’ quello che sono la Berardi e l’Innse. Aziende che hanno macchine e impianti ad ogni latitudine, stabilimenti e produzioni che avevano bisogno di una iniezione di fiducia imprenditoriale, prima ancora che di liquidità. Tutti abbiamo lavorato molto, le maestranze sono state esemplari, il sindacato ha capito che avevamo bisogno di alleggerirci di personale per dare un futuro all’azienda. Oggi i fatti cominciano a darci ragione». Ed ieri, in occasione di un open house, Attilio Camozzi (portatore dell’85% del pacchetto azionario) e Giovanni Cadei (vicedirettore generale di Bipop, alla quale fa capo il 15%) hanno presentato alla clientela il lavoro sin qui svolto, le prospettive, l’ultima nata di casa Marzoli: i filatoi Olfil, un nuovo sistema di filatura a condensazione di facile applicazione al filatoio predisposto, di agevole utilizzo come sistema addizionale e alternativo alla filatura tradizionale ad anello con conseguente aumento della flessibilità produttiva. Un sistema di produzione – per dirla in breve e da profano – che applica alle macchine Marzoli la tecnologia primaria del gruppo Camozzi: l’aria compressa. Ed è anche grazie all’Olfil che il Duemila rappresenterà per la Marzoli una sorta di anno zero, l’anno del riscatto dopo anni di conti a dir poco difficili: se il ’99 ha chiuso con un fatturato inferiore ai cento miliardi, il Duemila segnerà vendite per 150 miliardi e se il bilancio dello scorso anno si è chiuso in rosso per poco meno di dieci miliardi, le stime per il Duemila sono positive: l’utile non mancherà. Il mercato mondiale delle filatura è in ripresa e all’appuntamento, oltre che con l’Olfil, la Marzoli si presenta con una struttura produttiva e commerciale totalmente rifatta. Camozzi e Cadei hanno ben chiaro una data: il 3 marzo del ’99. Da quel giorno, la gestione della fabbrica è per intero passata ai Camozzi dopo l’uscita dei Lonati. L’idea-guida dell’intervento di ristrutturazione è stata quella di sfruttare le sinergie dell’intero gruppo Camozzi: Innse Berardi e Retco per le competenze nell’automazione industriale, alla Plastibenaco per alcuni materiali innovativi, la Onion per le reti informatiche, la Camozzi per i componenti della pneumatica e – soprattutto – per la rete commerciale. Ed è forse quest’ultimo l’aspetto più innovativo. Il gruppo Camozzi ha 18 sedi commerciali estere: una decina sono già state attrezzate per diventare punto di riferimento anche per le produzioni della Marzoli così come, a livello di Gruppo, le stessi sedi, diverranno o sono diventate filiali commerciali per l’insieme dei marchi del Gruppo stesso. Le previsioni oltre il Duemila – pur se i Camozzi non si sbilanciano – restano positive. Nei giorni prossimi partirà la costruzione del nuovo magazzino automatizzato: un parallelepipedo di 20 metri per 70, alto 18, un investimento superiore ai 4 miliardi che verrà pronto per la primavera prossima. Il nuovo magazzino è l’investimento più massiccio in cantiere ma non è, ovviamente, l’unico. Abbandonata l’idea, “ereditata” dalla gestione precedente, di realizzare un nuovo stabilimento, le risorse verranno indirizzate ancora nel progressivo aggiornamento tecnologico dell’officina, della fonderia, del reparto assemblaggio e nella ricerca. La strategia, confermata anche ieri, è quella di mantenere integro l’intero ciclo produttivo ribadendo quel che è sempre stato una sorta di merchio di fabbrica della Casa: dalla materia prima (vi sono stati anni nei quali la Marzoli aveva miniere in Valle Trompia) al prodotto finale passando dal controllo – fino a qualche anno fa – delle centrali elettriche. Un capitolo, quest’ultimo, sul quale Camozzi preferisce glissare non capacitandosi ancor’oggi di come si sia potuto vendere a quei prezzi le centrali della Casa. Ma c’è poco da stupirsi, tenta di consolarlo un anziano dipendente, se solo si pensa che qualche anno fa, per far cassa, qualcuno ha venduto la grande fontana in ghisa che stava sul piazzale…All’interno dello stabilimento un museo che guarda al futuro All’ingresso del Museo che la Marzoli ha aperto presso la sede storica di Palazzolo, i due busti di Cristoforo e Francesco Marzoli fanno soggezione, veri capitani d’industria, decorati di medaglie fatte di intelligenza e tenacia che contraddistinguono ancora oggi l’azienda. Dentro, una grande immagine di fine secolo restituisce un Francesco Marzoli giovanissimo e sorridente fra i suoi operai. Potenza di un museo aziendale ben allestito e ricchissimo di materiali, macchine, documenti, immagini: restituire l’infanzia di un’azienda, documentarne i passaggi temporali per dare senso e sostanza anche al domani. Ovvero, poter guardare negli occhi i Marzoli che furono, per ritrovarvi la stessa verve e lo stesso entusiasmo degli amministratori di oggi, che mutano di famiglia, ma mantengono intatte le attenzioni verso quel grande futuro già alle spalle. Un Museo che diviene sorpresa per la ricchezza delle collezioni e della documentazione presente, che (finalmente) riporta alla concezione di Museo non virtuale, troppo spesso regno delle tante parole e di poca sostanza. Viceversa, il Museo Marzoli si propone da subito – per quantità e qualità dei materiali esposti – come sedimentazione di una molteplicità di letture e fruibilità, ad uso e consumo (e secondo le singole capacità) di scolaresche, studiosi dell’innovazione tecnologica, gruppi di ex dipendenti, storici d’impresa, turisti alla ricerca delle ragioni ultime della storia di una comunità. E per Palazzolo, che a cavallo del secolo era nominata a ragione come la Manchester italiana, questo diviene, paradigmaticamente ed in modo esemplare, il Museo della propria storia contemporanea. Ad iniziare dall’icona aziendale in gigantografia, che mostra la Palazzolo di decenni or sono a fare da sfondo all’opificio, a simboleggiare un indissolubile legame simbiotico fra mondo produttivo e comunità locale. Una storia fatta, letteralmente, da quello stupendo tornio datato 1851, montato su banco in legno, sostituito un trentennio dopo dal tornio inglese a doppia barra, vite madre e regolazione delle velocità, un vero lusso tecnologico, sino alle macchine utensili utilizzate per costruire munizioni nel primo conflitto mondiale od a quelle acquistate dall’azienda nel secondo dopoguerra, grazie agli aiuti del Piano Marshall. A fare da filo conduttore alle tante storie che ogni visitatore può costruire all’interno del Museo, la storia dell’azienda e delle sue ramificazioni, troncate o rinvigorite nei decenni seguendo con capacità imprenditoriale l’economia europea e planetaria. Le tocchi quindi con mano le scelte che l’azienda ha effettuato nel tempo, passando dalla sezione fonderia a quella mineraria (con oggetti e disegni della miniera di Pezzaze), da quella dedicata alla produzione di energia elettrica alle sezioni del tessile. Non si può fare a meno di rimirare, dentro il Museo, la vecchia valigetta del commesso viaggiatore della Ditta Marzoli, e, oltre la vetrata, sbirciare la home page aziendale pronta sullo schermo del pc, capace di far vendere in ogni angolo del globo con un click: nel mezzo ci sta tutta la storia dell’azienda e, in fondo, tutta la nostra storia.Marcello Zane

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