venerdì, Aprile 26, 2024
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Un insegnante di Castelletto ha un sogno: mettere i reperti raccolti con amore nell’arco di venticinque anni in una vecchia osteria, dove i «corsari del Garda» si riunivano

Racconti di pesca in una taverna-museo

«Il mio sogno sarebbe quello di ricreare un ambiente simile alle vecchie taverne di una volta dove i pescatori del Garda si riunivano per aggiustare gli attrezzi e parlare della pesca». Intanto nell’attesa di realizzarlo, Livio Parisi, 50 anni, insegnante, nato a Riva del Garda ma residente da quasi 40 anni a Castelletto di Brenzone, si allena a raccogliere strumenti da pesca tradizionali, alcuni vecchi di secoli. «Riproporli in un ambiente caratteristico è un modo per far conoscere le nostre tradizioni ai giovani», spiega. Da qui l’idea della taverna museo e la collezione di attrezzature per la pesca. Gli oggetti che Parisi tiene nella soffitta di casa sono ormai più di un centinaio. «Ho un po’ di tutto, dai mulinelli in rame e legno, alle canne da pesca in ferro che si usavano probabilmente nel secolo scorso. Ma poi anche galleggianti di sughero che una volta ricavavano dai tappi per damigiane, reti intrecciate a mano, scalmi per remi». Un insieme di reperti raccolti nell’arco di 25 anni e fra i quali ci sarebbero, a detta di Parisi, degli autentici pezzi unici. Uno di questi, ad esempio, è un «vivarol». Una specie di scatola di legno, lunga poco meno di un metro, dalla forma simile ad una barca, con un coperchio nella parte superiore e una serie di buchi lungo i fianchi. «Veniva attaccato a strascico dietro le barche e serviva, come dice il nome, per conservare vivi i pesci pescati. E’ uno strumento che ha un centinaio d’anni e credo di essere l’unico a possederne uno così vecchio. Ma non è l’unico pezzo forte della mia raccolta», continua Parisi. «Ho anche due «matross» di circa 80 anni fa e che sono gli antenati dell’attuale tirlindana, la lenza che si usa a traino, dietro alla barca per pescare carpioni o trote. E poi una lenza realizzata a mano con pezzi di rame lunghi circa 10 centimetri collegati fra di loro». E lampade per la pesca notturna, tornei, cioè retini per recuperare il pesce, i tram, i galleggianti che tenevano a galla le reti. All’origine della collezione non c’è solo la passione e il rispetto per il tempo andato, ma anche quello per la pesca in sé. «Un hobby che coltivo da quando avevo 10 anni. Ho imparato a pescare con la canna osservando i pescatori professionisti e chiedendo consigli a loro», dice. «Sempre i pescatori sono stati i primi a regalarmi i loro vecchi strumenti di lavoro che non usavano più. Poi a raccoglierli e a cercarli con metodo come tutti i collezionisti. E’ stato indirettamente un modo per vedere da vicino i cambiamenti avvenuti in questi anni. Il rapporto dell’uomo con il lago si è modificato». «Una volta l’andare a pescare era un mezzo di sussistenza e il pescatore era integrato nell’ambiente, lo viveva e ne faceva parte. Le barche erano a remi, ma montavano anche la vela latina», spiega Livio Parisi. «Il Garda garantiva cibo, lavoro ma era anche la via di comunicazione principale tra i vari paesi. Tant’è che i rapporti più frequenti erano con i comuni della sponda bresciana, che sono a soli sette chilometri, e non con quelli del basso lago. Oggi tutto questo mondo non esiste più. Ma comunque non possiamo dimenticare il passato da cui siamo partiti, perchè ci sia veramente progresso bisogna conoscere le tradizioni e rispettarle».

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