giovedì, Aprile 25, 2024
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In occasione delle festività natalizie Le chiavi all’enoteca e al negozio di quadri

Riaperta la chiesa della Disciplina

Volete vedere la chiesa della Disciplina? E allora passate in enoteca. O in galleria. «Questa chiesuola» scriveva nel 1929 don Giovanni Borsatti, «si trova incastrata tra le casupole nella parte più alta della borgata». Le casupole sono diventate botteghe. Oggi a sinistra della Disciplina, in piazza Cavour, c’è un wine bar, l’Hippopotamus, a destra un negozio di quadri, Arte Regalo. E siccome la chiesuola aveva sempre la porta serrata, i gestori dei due esercizi hanno pensato di chiedere le chiavi. E fanno da guida ai turisti che vogliono entrare a dare un’occhiata. In estate, ma anche in questo periodo di festività natalizie. «D’estate» conferma Leandro Luppi, chef di grande livello (il «Gambero Rosso» gli ha dedicato la copertina un paio d’anni fa) e gestore dell’enoteca di piazza Cavour, «erano parecchi i turisti che domandavano di poter visitare la chiesa. Abbiamo pensato di accontentarli: in fondo non ci costa nulla, e loro sono contenti. Vista l’attenzione che c’è stata, abbiamo pensato che fosse il caso di ripetere l’esperienza sotto Natale». La piazzetta è suggestiva. Un tempo, era il luogo delle feste paesane. E veniva persino coperta. «All’altezza delle grondaie delle case adiacenti leggiamo ancora dalle pagine di don Borsatti dedicate alla Disciplina, «si vedono tuttora infissi i ferri, che servivano una volta per tirare la tenda sopra il piazzale nel dì della sagra. La chiesa è in fondo. La chiamano della Disciplina perché lì aveva sede una confraternita. Secondo Giovanni Gagliardi, autore d’una monografia su Malcesine una quindicina d’anni fa, il nome vuol dire «flagello» e fa riferimento al mazzo di funicelle usato dai confratelli in epoca medievale e moderna per percuotersi in segno di penitenza e ascetica mortificazione. Ma che a Malcesine si usassero simili pratiche non è noto. In realtà, la chiesetta è intitolata ai santi Benigno e Caro, patroni di Malcesine. I due eremiti sono ritratti nelle statue poste nelle nicchie ai lati d’una finestrella, sopra il portoncino d’ingresso. Anche all’interno l’opera di maggior valore mostra i due romiti. «Il quadro» narra il Borsatti, «rappresenta i due santi Benigno e Caro presso il letto del cieco Bartolomeo Fioravante, a cui ridonano la vista, e nello sfondo la confraternita dei medesimi santi». Una sorta di ex voto, insomma. E i Fioravante dovevano aver a cuore quel tempietto. In un atto del notaio Martino De Benedetti datato 7 gennaio 1645 risulta che era stato proprietà privata di Antonio Fioravante. L’edificio è piccolino, a una sola navata, ma ha comunque la sua dignità. L’altare ha avuto curiose vicissitudini. Nacque in fondo al presbiterio, poi venne spostato nel mezzo, quindi riposizionato dov’era, perché si doveva far posto ai confratelli che si riunivano lì: erano ben centoquaranta. Per il resto, la storia della chiesa è poco nota. «Le più vecchie notizie», dice il Borsatti, «risalgono al 1532». Si riferiscono ai verbali di una visita pastorale. Vi si dice «che era luogo di grande devozione, e che aveva assegnato un sacerdote per officiarla». Un onore.

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