venerdì, Marzo 29, 2024
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«Dei luoghi "belli" d’Italia, Sirmione era l’unico che non conoscessi. Tante volte vi ero passata accanto, percorrendo la strada che va da Brescia a Verona, lungo il lago di Garda

Salvator Gota racconta Sirmione

«Dei luoghi “belli” d’Italia, Sirmione era l’unico che non conoscessi. Tante volte vi ero passata accanto, percorrendo la strada che va da Brescia a Verona, lungo il lago di Garda; avevo intraveduto, passando, la lingua di terra che tra Desenzano e Peschiera si allunga nel lago, conoscevo di fama e anche per ricordi letterari la Peninsularum Sirmio… cantata da Catullo…». È l’inizio di un capitolo – a raccontare è la protagonista – quasi all’inizio di «Due donne a Sirmione», libro che uscì in duplice edizione mondadoriana: nel ’60 e nel ’61. Dell’autore, si legge nel risvolto di copertina: …è forse lo scrittore che gode di più larga fama tra i viventi scrittori italiani… Forse. Non conoscerlo era quasi impossibile. Oggi però, pronunciandone il nome, la gente inarca la bocca scrivendosi in faccia un candido «mai sentito nominare». Eppure Salvator Gotta, mancato vent’anni fa, un posto nella letteratura del ’900 lo detiene e ora, ecco la notizia, ci si sta movendo (redazioni e salotti «giusti») per togliergli la polvere piovutagli addosso. Si rileva che, recuperato alla grande Giovannino Guareschi, è tempo di occuparsi di Gotta, Fabio Tombari, Guelfo Civinini, Alfredo Panzini. Meglio tardi che mai. Qualcuno certo li ricorda per loro pagine lette sulle antologie scolastiche e altrettanto sicuramente Gotta fu il più popolare. Celeberrima la sua «Saga dei Vela», che veniva considerata la «nostra» «Via col vento», e, tra i ragazzi, «Il piccolo alpino» apparso nel ’26 e dal quale venne tratto l’omonimo film, protagonista Cesarino Barbetti che nella vita non ha poi fatto l’attore ma il doppiatore. Sul grande schermo Gotta ci arrivò anche con una sua commedia, «La damigella di Bard» (1936), con interprete Emma Gramatica. Quel film di tanto in tanto viene riproposto in tv. I soli titoli delle opere gotiane, elencati, si porterebbero via lo spazio riservato all’articolo. Scrisse inoltre almeno 300 novelle e non si sa quanti elzeviri giornalistici. «Due donne», riteniamo, fu una delle sue ultime fatiche tra le quali, definitiva, dovrebbe essere considerata «Vecchio Piemonte». In quella regione, a Montalto Dora, era nato nel 1887, figlio di una famiglia opima A Torino si era laureato in legge e in lettere e dalla fu real città era mosso, prima ancora di conquistare quello che veniva considerato «il fatidico pezzo di carta», cioè il diploma universitario, alla conquista delle case editrici. Vincendo su tutto il fronte e mantenendosi in sella nonostante le temperie politiche.C’è chi lo leggerebbe volentieri e ne saremmo lieti. Di qui un plauso a quanti ne auspicano il ritorno in libreria dal quale è stato scacciato da certa critica ideologica che voleva far posto ai propri idoli (operazione riuscita). Gotta, a quel tempo era presidente dell’Azienda di soggiorno di Portofino, tra il ’50 e il ’60 in settembre si trasferiva a Sirmione. Una vacanza per lui e per la consorte (piccola e silenziosa). Turista che amava tenersi nell’ombra (uno stile oggi tramontato, ma quanto dura la notorietà di chi tiene la ribalta?), raggiungeva Desenzano in tassi per assistere – accolto dal sindaco, un gran galantuomo: l’avvocato Laini, e dai responsabili del turismo cittadino, il dottor Giorgio Foschini e la segretaria Aurora Perich – alle manifestazioni preannunciate alla Spiaggia d’oro. L’idea del libro catulliano, che non è certo tra i suoi migliori, gli venne sicuramente in quel periodo e gli consentì di dar lustro, inseriti nei variegati panorami lacustri, a personaggi che conobbe (e che conoscemmo). Uno per tutti: il motoscafista Candido, citato più volte e descritto con un particolare, la «sigaretta infilata nel lungo bocchino», che aiuta la memoria a rivederlo. Su queste colonne, poiché all’aspetto pareva un suddito spiccicato di Elisabetta II, lo salutammo come «il Commodoro». Adesso ci sembra di ricordarlo anche somigliante a un austriaco. Tardi per riceverne da lui la gratificazione di un conquidente sorriso. Comunque non per tributargli un ricordo affettuoso, propiziato appunto dai propositi di chi letterariamente conta e vuole dare agli italiani delle ultime leve il piacere di leggere il già idolatrato (sic transit…) Salvator Gotta.

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