venerdì, Aprile 19, 2024
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I tedeschi minarono la polveriera e fuggirono innescando il detonatore: solo l’intervento di Marcello Zanetti evitò l’esplosione. Nei bunker 9mila quintali di tritolo: il racconto di quei tragici giorni

Salvò Rivoli dalla distruzione

Novemila quintali. Questa la quantità di tritolo che si trovava alla polveriera con i tedeschi in fuga nei giorni della ritirata, quei giorni vicini al 25 aprile che nei paesi segnarono spesso momenti di dolore e lutto. Con una tale quantità di tritolo a due passi dal centro storico, tutta Rivoli poteva saltare in aria. E i tedeschi lo sapevano. Prima di abbandonare le case, le corti, le ville che avevano occupato per mesi e mesi lasciarono un terribile pacco regalo per la comunità: una cassetta con un detonatore, legati al cancello d’ingresso con uno spago lungo circa 80 metri. A fare la guardia dell’edificio c’erano però alcuni rivolesi che abitavano lì vicino, Marcello Zanetti e Angelo Pinamonte. Fu grazie a Zanetti che Rivoli si salvò, quel giorno in cui saltò anche il ponte di Canale e il botto si sentì fin giù nei rifugi dove la gente si era nascosta, sperando che fosse l’ultima volta. Di ponti, forti e polveriere ne saltarono in aria, in quei giorni. Alla Sega di Cavaion, a Corrubbio in Valpolicella, ad Avesa, portandosi dietro un carico di morti. A Rivoli non successe nulla di tutto questo. Zanetti capì subito cosa significava quella cassetta. Il figlio Mario ricorda che si precipitò a casa urlando «I ha minà la polveriera». Cercò in tutti i modi di staccare il detonatore e ci riuscì. Mario Zanetti, nato nel 1931, primo di sette figli, allora era quattordicenne e per un anno soltanto non fu tra quelli chiamati al fronte a combattere. Ricorda perfettamente la sera che saltò il ponte di Canale: «Era lo stesso giorno in cui sarebbe potuta esplodere anche la polveriera», afferma. «A mezzanotte eravamo nel rifugio e sentimmo un gran rumore che risuonava forte nella vallata. Al mattino il ponte non c’era più, solo un cumulo di macerie». Il clima che si respirava in paese era pesante. I tedeschi sapevano che ormai non c’era più nulla da fare e si comportavano con la crudeltà dettata dalla disperazione. Marcello Zanetti già qualche giorno prima della mancata esplosione era riuscito a sfuggire ai militari che volevano farlo fuori. «Mia madre aveva tolto una ruota a un carro perché non potessero usarlo», ricorda Zanetti. «Accortisi del fatto, puntarono il mitra su mio padre e gli chiesero da mangiare; lui li condusse in cantina e lì, mentre loro mangiavano e bevevano, scappò. Lo inseguirono, ma non lo presero. Per due notti dormì appollaiato su un pigno e per due giorni rimase nascosto in una “quara” di frumento». Una tragedia per tre famiglie e tutta la comunità rivolese si consumò invece in località Zuane. Il giorno della Liberazione era vicino. Tre militari tedeschi arrivarono con la camionetta proprio alle Zuane; con loro avevano due prigionieri, Giuseppe Acerbi e Silvio Aliprandi, e li stavano portando al monumento di Napoleone per giustiziarli. Arrivati alla storica osteria Dalla Rosa e all’abitazione di Renzo Villa, scesero dalla camionetta, aprirono un piccolo cancello ed entrarono nel cortile di una casa: lì freddarono senza un attimo di esitazione due persone che chiacchieravano, Alberto Modena e Giuseppe Veronesi. «Prima spararono un colpo contro Veronesi, che si accasciò a terra, morto, poi toccò a mio suocero», ricorda Villa. «Tentai di soccorrerlo, ma fu tutto inutile: non riuscii a sentire che il suo ultimo respiro. Tra il panico della gente, i militari salirono nuovamente sul loro mezzo e si diressero al monumento verso Canale. In un campo vicino alla guglia, dove erano già caduti tanti soldati francesi al tempo della battaglia di Rivoli vinta da Bonaparte, ai prigionieri furono fatte togliere le scarpe. «Acerbi lasciò vedova una giovane moglie incinta del secondo figlio; Aliprandi invece, il più giovane dei due, si salvò. La pallottola conficcata in pancia non lese organi vitali e lui tenne duro fino all’arrivo dei vicini a soccorrerlo. All’alba della Liberazione alle Zuane morirono in tre e la stessa tragica fine fece anche Igino Dei Micheli, che il 27 aprile uscì nei campi in località Tessari e non tornò più a casa. I tedeschi in ritirata gli spararono e poi gettarono il suo corpo nell’Adige; la salma riaffiorò solo 30 giorni dopo a Bussolengo, impigliata in uno dei mulini ad acqua che allora costellavano il fiume.

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