venerdì, Aprile 19, 2024
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Il monastero bresciano fondato dalla regina Ansa era una tappa del cammino verso la «rupe garganica»

Santa Giulia, crocevia della devozione europea

Si intitola «Lungo le strade della fede» la giornata di studi in programma oggi in città, promossa dalla Diocesi di Brescia, Associazione per la storia della Chiesa bresciana, Fondazione Civiltà Bresciana, Università Cattolica e Archivio Vescovile. I lavori si aprono alle 9,30 nella sede della Fondazione Civiltà Bresciana (vicolo S. Giuseppe 5). Dopo i saluti del vescovo mons. Giulio Sanguineti, del presidente della Provincia Alberto Cavalli, del sindaco Paolo Corsini, del presidente della Fondazione mons. Antonio Fappani, interverranno Gabriele Archetti, Angelo Baronio, Giovanni Spinelli, Nicolangelo D’Acunto, Elena Bellomo, Giovanna Forzatti Golia. Nel pomeriggio, dalle 15 i lavori riprendono con gli interventi di Ennio Ferraglio, Giuseppe Manzoni Di Chiosca, Giovanni Donni, Oliviero Franzoni e Camillo Barbera. Alle 17, nel salone Vanvitelliano in Loggia, tavola rotonda sul tema «Dalla bisaccia del pellegrino al turismo religioso» con gli interventi di Xenio Toscani, Pietro Petraroia, Ermes Buffoli, Dionigi Guindani, Franco Iseppi, Gian Battista Lanzani, Maurizio Cattaneo, Fulvio Manzoni, Maurizio Banzola, Giovanni Sesana, coordinati da Giorgio Picasso. Chiude i lavori mons. Mario Vigilio Olmi. ——————————————————————————– Nella storia della Diocesi bresciana ha un rilievo particolare San Gaudenzio, primo Vescovo proveniente dal clero indigeno: il suo antecessore San Filastrio era un missionario venuto dall’Oriente, collaboratore di S. Ambrogio, inviato Vescovo a Brescia verso il 380. Qui era già in venerazione nella comunità cristiana S. Apollonio, pure arrivato dall’Oriente. San Gaudenzio è stato Vescovo dal 386: la data della morte è variamente indicata tra il 406 e il 415; nella tradizione bresciana è fissata al 412. È autore di alcuni sermoni dottrinali, detti «trattati», che fanno parte della patrologia latina. S. Ambrogio lo volle Vescovo mentre da giovane presbitero, consacrato da Filastrio, era in pellegrinaggio in Terra Santa. Data l’età non superiore ai venticinque anni, non si aspettava tale nomina. Sapendo che avrebbe fatto tappa in Cappadocia nell’Asia Minore per raccogliere reliquie di martiri, S. Ambrogio scrisse ai Vescovi della regione perché informassero Gaudenzio della nomina, esortandolo a non rifiutare la carica col motivo dell’età. Apprendiamo così che nel secolo Quarto, dopo la costruzione di basiliche costantiniane a Gerusalemme, era in vigore anche in Occidente il pellegrinaggio alla Terra Santa, con sosta nelle località più famose per ricordo di martiri. Nel martirologio bresciano c’è la venerazione di Santa Silvia pellegrina, contemporanea di S. Gaudenzio, sepolta nella chiesa parrocchiale di S. Giovanni in città. È noto che tale chiesa venne fondata da S. Gaudenzio che la chiamò Concilium Sanctorum, nel senso di «luogo di raccolta di reliquie di Santi». Fin dai primi secoli sorgono in città «xenodochi» o ostelli per pellegrini a cui si aggiunsero anche malati o poveri senza tetto; si chiameranno poi hospitalia. Il vocabolo comprende due parole greche che significano «casa per forestieri». Chi ne parla omette spesso di precisare che si tratta di una istituzione suggerita ai Vescovi dal Concilio di Nicea, tenuto alla presenza dell’Imperatore Costantino nel 325. Lo xenodochio più antico di Brescia sorgeva nell’ambito del Monastero di S. Onorio che nei primi secoli era situato nell’attuale area del Broletto e della Prefettura, spostato poi nel bosco a nord recante il nome di S. Maria in Silva che a sua volta verrà chiamata San Faustino dopo che vi saranno collocati i resti dei Martiri Faustino e Giovita durante il secolo VIII. Una curiosità storica: allorché cadde in disuso il termine «xenodochio» ne rimase una espressione volgarizzata nel bresciano in «Sano Loco». Per cui certe località o contrade portavano questo appellativo. Nel nostro caso fino al secolo XVI il tratto di via Musei a occidente, dove sbocca la galleria, era appunto detto Contrada del Sano Loco. Una nuova situazione si determina con la calata dei longobardi nel 568. Erano cristiani seguaci dell’eresia ariana con propri Vescovi, per altro ancora semipagani. Nel 698 l’ultimo Vescovo ariano a Pavia passò alla Chiesa cattolica. I longobardi divennero cattolici non meno ferventi dei franchi; questi però si ritenevano superiori e si dicevano «primogeniti della Chiesa» perché dal paganesimo con San Remigio erano passati al cattolicesimo senza un periodo ereticale. Il ducato longobardo di Benevento ebbe una influenza politica notevole nell’Italia del Sud. Sul Gargano esisteva un tempio pagano scavato nella roccia, col culto di Diomede: i contadini divenuti cristiani lo dedicarono a S. Michele Arcangelo, sostenendo che era pure apparso; lo invocavano per i loro prodotti. I longobardi non si denominavano «popolo», ma «esercito»: nel loro militarismo accolsero il culto di S. Michele non per i prodotti della terra, ma come simbolo e protettore, lui che aveva la spada fiammeggiante, a sprone di spirito bellico, sostituendolo al Dio Odino. Il culto venne accolto da tutto il popolo longobardo. Ecco allora che i pellegrini della Val Padana e dell’Europa del Nord si recavano oltre che a Roma anche alla «sacra rupe garganica» Abbiamo un documento rilevante nell’epigrafe in esametri latini, ventotto, scritta per la tomba di Ansa regina nel monastero detto poi di S. Giulia, fondato nel 753 dalla stessa regina; la prima badessa fu una sua figlia, Ansperga o Anselperga. Aveva anche lo xenodochio che occupava la zona urbana tra via Piamarta e via Musei sul lato nord-ovest. Il testo venne scoperto solo nel secolo scorso, pubblicato dall’Odorici senza traduzione. È stato riproposto con una mia traduzione nel volume Profili di donne nella storia di Brescia (Ediz. «Giornale di Brescia», 1986). L’autore è Paolo Diacono. Vi si ammira l’esaltazione della famiglia regale e in particolare, della regina Ansa: «Qui per vero giace la bellissima sposa dell’ausonio re / Ansa che imperitura rimane nel mondo intero». Ecco ora il testo latino che presenta il fenomeno del pellegrinaggio: Securus iam carpe viam peregrinus ab oris / occiduis quisquis venerandi culmina Petri / Garganiamque petis rupem venerabilis antri… Diamo la traduzione col seguito: «Pellegrino dai Paesi dell’Occidente sicuro prendi la via / o per venerare l’alta sede di Pietro o per toccare / la Garganica rupe della venerabile grotta, / da lei (Ansa) protetto sarai libero dai dardi del ladrone / e né freddo né bufere temerai nell’oscura notte» È un documento di grande consistenza testimoniale: manca nella mostra citata. Siamo negli anni che seguono la sconfitta dei longobardi; Ansa aveva accompagnato in prigionia re Desiderio morto nell’abazia di La Corbie in Francia. Col permesso di Carlo Magno ritornò a S. Giulia ed ivi venne sepolta. Paolo Diacono che attesta il flusso di pellegrini nordici che sostano a S. Giulia, la propone come protettrice. In questi anni si stanno studiando meglio le annotazioni contenute nel testo del Liber vitae del Monastero di S. Giulia, pubblicato alla fine del secolo scorso da Andrea Valentini col titolo «Codice necrologico-liturgico di S. Giulia» che riporta elenchi di benefattori e visitatori dal IX al XII secolo. Tale testo è incluso in Monumenta Germaniae Historiae; è oggetto di studi approfonditi, come è apparso anche dalla relazione tenuta nel convegno su Santa Giulia il 20 ottobre 2000 dal professor Gabriel Silagi. Nello stesso convegno la professoressa Simona Gavinelli avanzava l’ipotesi che la traslazione delle spoglie di S. Giulia potrebbe esser stata eseguita da Berengario I che ebbe pure una figlia badessa a S. Giulia, di nome Gisla. È un’ipotesi puramente accademica, tutta da dimostrare: contro sta il fatto che Berengario è nella serie degli Imperatori il più esautorato e sfortunato; se avesse acquisito la benemerenza della tradizione del corpo di S. Giuila ne risulterebbe un cenno esplicito, visto il gran bisogno di «tener su» il suo nome. Tra i pellegrini passati a S. Giulia prima del Mille si annoverano i fratelli principi Etelredo e Alfredo, figli del re di Vessex di nome Etelwulf nell’anno 853; due anni dopo passò di nuovo Alfredo col padre Etelwulf e l’abate Franco Markuardo di Prum. Nell’anno 872 furono ospiti Etelsuit figlia dello stesso Etelwulf e il marito Bulgredo, re della Mercia in Inghilterra, scacciati dai Danesi; la regina morì poi nell’anno 888 a Pavia. Per secoli in effetti da S. Giulia passarono pellegrini; nello xenodochio, chiamato hospitale dal 900 in poi, con loro erano accolti anche ammalati e poveri senza tetto. Nella festa della traslazione della Santa, il 22 maggio, nell’inno si celebrava la memoria di re Desiderio e della regina Ansa. Ricordando che il corpo di S. Giulia era accompagnato da altre reliquie insigni una strofa esaltava Brescia così cantando: «Felice esulta Brescia eletta / che possiede il gran dono / di questi corpi santi / giunti da ogni clima!». Passati i tempi tristi dell’abbandono e dell’oblìo ora le memorie di S. Giulia, dei pellegrini che vi passarono, delle monache che vi pregarono, riemergono all’attenzione.Fausto Balestrini

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