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Durante il restauro della chiesetta di Sant’Antonio nel borgo di Biasa sono state ritrovate pitture murali risalenti al Trecento

Sotto l’intonaco l’Ultima Cena

Cade un pezzo d’intonaco e appaiono affreschi di cui nessuno conosceva l’esistenza. È successo nella chiesetta di Sant’Antonio, a Biasa, il borgo a monte di Castelletto di Brenzone. Il restauro del tempietto ha portato alla luce delle pitture murali dimenticate. Erano finite sotto una pittura del Cinquecento. È tornata leggibile pure un’iscrizione, una specie d’appunto: dice che la fabbricazione della chiesa cominciò mercoledì 22 aprile del 1349. Gli affreschi ritrovati sono stati analizzati da Giuliano Sala sull’ultimo numero dell’annuario «Il Garda. L’ambiente, l’uomo», edito dal Centro studi per il territorio benacense di Torri del Benaco. Sala è un esperto d’arte sacra del territorio gardesano. Molti suoi lavori hanno aperto nuove strade all’interpretazione del patrimonio artistico e religioso della riviera. «Gli originari affreschi trecenteschi», spiega con meticolosa precisione, «scorrono in alto da ovest verso est sulla parete di settentrione in due riquadri segnati da una cornice a triplice striscia: rossa, gialla e bianca, per il primo; rossa, gialla e verde per il secondo. Il primo riquadro è purtroppo lacunoso con la perdita delle immagini nella parte superiore sinistra; quanto visibile consente comunque di riconoscervi la rappresentazione dell’Ultima Cena». «Il secondo riquadro», prosegue, «raffigura in due scomparti distinti i santi Giacomo maggiore e Bartolomeo: il primo riconoscibile dall’impugnatura del bastone da pellegrino che tiene nella mano destra, il secondo dal coltello che tiene nella sinistra. Attributi specifici con richiamo al celebre santuario di Santiago di Compostela, dove le reliquie di Giacomo sarebbero state riposte, ed al martirio per scuoiamento subito da Bartolomeo. In entrambi i casi si tratta di culti all’epoca assai diffusi nella regione». Risolta l’identificazione dei santi, ecco che dalle pitture emerge una curiosa particolarità, in grado di far interrogare lo studioso d’arte medievale. Sulla tavola imbandita dell’ultimo banchetto di Cristo coi suoi discepoli compaiono delle ciliege. «Pani crociati e bocce di vino rosso», dice Sala descrivendo la pittura di Biasa, «si accompagnano ai piatti con tranci di pesce in un richiamo al banchetto eucaristico fin troppo evidente. Una novità invece è la presenza di ciliege peduncolate in coppia, che non trova in territorio riscontro in altri dipinti di medesimo soggetto, se non scendendo il Mincio fino a Volta Mantovana, più precisamente alla frazione di Cereta, presso l’oratorio della Madonnina di Mezzacampagna. Ma, come il richiamo alle ciliege dipinte nell’Ultima Cena di Cereta conferma, più che in un’ipotetica concessione ad elementi realistici, dettata magari da una locale cultura del ciliegio, la presenza del frutto si giustificherebbe sempre nel significato simbolico attribuitogli». Il che vuol dire che la ciliegia ha lo stesso significato della mela nella raffigurazioni della cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso: simbolo del peccato originale. Che cosa non può raccontare agli storici un antico affresco ritrovato…

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