venerdì, Aprile 19, 2024
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Gavardo resta un punto di riferimento per acuti, ma il direttore generale Mara Azzi prospetta a Salò un’alternativa per il riutilizzo del presidio

Spunta l’ospedale di comunità

La Valle Sabbia e il medio-alto lago di Garda avranno come ospedale per acuti Gavardo; la riabilitazione graviterà invece su Villa Barbarano, in passato hotel (Astoria) di proprietà della famiglia del sindaco Giampietro Cipani, ora della società che fa capo a Marco Bonometti delle Officine meccaniche rezzatesi. E Salò? Sembra prospettarsi l’ipotesi di un «ospedale di comunità», una via intermedia, che si sta già cercando di attuare a Leno. Verrebbe gestito anche dai medici di base e dovrebbe accogliere coloro che, dimessi dopo un intervento chirurgico e un ricovero, abbiano bisogno di essere seguiti per alcuni giorni prima di rientrare a casa.«Intanto pensiamo a riparare i danni del terremoto del 24 novembre 2004 – ha affermato Mara Azzi, direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Desenzano, ospite ieri a Salò per parlare del futuro della sanità nella cittadina gardesana – abbiamo ottenuto un contributo di un milione e 300 euro, e noi ne abbiamo aggiunti altri 147 mila. I lavori termineranno nel novembre 2009. Fino ad allora non è possibile pensare ad alcun cambio di destinazione. Abbiamo quindi tempo per decidere quale futuro avrà. Io non intendo andare avanti, senza tener conto dell’opinione della gente. L’obiettivo è di far funzionare bene i servizi e accontentare i cittadini».IL DIBATTITO, organizzato dagli «Amici del golfo», presieduti da Aurelio Nastuzzo, si è svolto nella Sala dei Provveditori del palazzo comunale di Salò, per l’occasione gremita. Presenti pure alcuni sindaci della zona e il numero 1 della Comunità montana parco Alto Garda, Vincenzo Chimini. «Vi garantisco che i servizi attuali (poliambulatori, radiologia con mammografia, centro prelievi, neuropsichiatria infantile, Avis) rimarranno lì, non saranno tolti, ma dovranno essere rimodernati –ha proseguito Azzi -. Basteranno 4.500 metri quadri: la metà della superficie esistente. Cosa fare per il resto? Toccherà ai cittadini decidere. Al momento le ipotesi sul tavolo sono due: o vendere metà ospedale e con il ricavato ristrutturare l’altra metà, oppure cederlo per intero, e costruire una palazzina nuova. Se nel frattempo matureranno proposte differenti, le esamineremo. In ogni caso bisogna togliersi dalla testa che possano ritornare i vecchi reparti».L’ospedale di Salò è stato progressivamente svuotato: via ortopedia e, poi, ginecologia-ostetricia, ortopedia, otorino, Pronto soccorso, medicina, dialisi, psichiatria. Col risultato che sono rimaste solo le briciole, come gli ambulatori e la radiologia. «L’edificio è storico – ha aggiunto Azzi – e pensare di mettervi la riabilitazione è pazzesco. Occorrerebbe effettuare investimenti enormi. Senza trascurare il discorso della mancanza di parcheggi esterni». Numerose le persone che hanno espresso la loro opinione.QUALCUNO ha esternato rabbia e malumore, per la decadenza di una struttura realizzata grazie ai lasciti della popolazione, chiedendo «una soluzione dignitosa». Altri hanno suggerito di puntare a un ospedale della comunità, gestito da medici di base e infermieri, per chi ha bisogno di essere seguito dopo un intervento chirurgico. Ipotesi che la direttrice ha ritenuto valida. «Salò è già stata penalizzata, e non potrà esserlo ulteriormente», ha assicurato.Il sindaco Giampiero Cipani ha ricordato come nel Pgt adottato venerdì dal consiglio comunale, si parli di vendere metà ospedale per recuperare l’altra metà. «Non sono per nulla d’accordo di cederlo per intero e realizzare una palazzina esterna» ha ribadito Cipani. L’occasione l’abbiamo persa quando la Regione e l’assessore Carlo Borsani decisero di costruire un ospedale nuovo per acuti in un luogo da scegliere tra Roè Volciano, Limone di Gavardo e Villa di Salò. A tale proposito furono reperiti finanziamenti per 29 milioni e mezzo di euro, poi finiti nell’ampliamento di Gavardo». Il sindaco di Gargnano, Gianfranco Scarpetta, ha rivendicato la necessità di avere servizi adeguati, per evitare lunghe attese negli ambulatori.

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