venerdì, Aprile 19, 2024
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Si sta restaurando a Lazise l’antico edificio che per oltre due secoli ha diffuso nel mondo gli agrumi del lago

Torna a vivere l’ultima oasi per i limoni

Ora sul lago più nessuno coltiva limoni. Solamente qualche «privato» coltiva per sé e per uso esclusivamente familiare qualche pianta, riparandola in inverno in qualche cantina o in una sorta di serra allestita per l’occasione, tanto da togliere dai rigori dell’inverno la delicata pianta di agrumi gialli. Eppure c’è stato un tempo in cui si producevano, soprattutto sulla sponda bresciana, i limoni, i cosiddetti «limoni modello». E non a caso la tipica coltura avveniva proprio a Limone. Prese avvio nel secolo XVIII, assumendo ben presto caratteristiche di una vera e propria industria. Tipiche ed al tempo stesso uniche, le ampie limonaie, in pieno sole, ben collocate fra i minuti spazi disponibili e le rocce delle montagne che circondano il lago di Garda. Sul versante veronese restano in piedi solamente alcuni «ruderi» delle limonaie, soprattutto nella zona di San Vigilio ed al castello di Torri. Pochissime invece nel basso lago, per non dire quasi nulla. L’unica rimasta ancora «in vita» a Lazise è quella ubicata a ridosso del lungolago, nella zona del porticciolo, all’interno del piccolo cortile dove ancora si trova l’antico torrione scaligero che costituiva la testata delle mura scaligere in direzione nord del paese. Di fatto la continuazione della cinta muraria che conduce fino a porta Cansignorio, dal lungolago Marconi. Lì ancora oggi si trova una limonaia, sicuramente l’unica testimonianza attuale delle limonaie tipiche del lago di Garda. Ed è proprio in questi giorni che hanno preso avvio i lavori di restauro e recupero di questo antico manufatto, ora di proprietà della famiglia Fratta. A curarne la progettualità ricostruttiva è l’ingegnere Enrico Lorenzini, gardesano «de soca», in stretta collaborazione e sintonia con la Soprintendenza ai beni ambientali di Verona. L’impresa che curerà i lavori di restauro è la arilicense impresa Francesco Lavelli, la stessa che da anni sta operando nel cantiere della chiesa parrocchiale di San Martino e nel teatro parrocchiale attiguo. La storia dell’economia e dell’agrumicoltura gardesana, un tempo florida e esportata in tutta Europa, dal Tirolo alla Polonia, alla Russia, all’Austria, alla Germania, è ben spiegata da Domenico Fava nel suo volume «I limoni a Limone sul Garda», editato a cura della Cassa Rurale ed artigiana di Vesio Tremosine. Perché l’industria degli agrumi gardesani, un tempo fiorentissima è caduta in oblio? «La crisi iniziò nella seconda metà del secolo scorso», spiega Fava, «a causa della «gommosi», una malattia che provocò danni ingenti alle piante. Il colpo di grazia lo diede lo scoppio della prima guerra mondiale: gran parte del materiale di legno che serviva a ricoprire le limonaie venne requisito per costruire barricamenti militari e trincee, e così le piante non più riparate dai rigori dell’inverno morirono. Con l’avvento del turismo anche gli ultimi agrumicoltori preferirono trasformarsi in albergatori e ristoratori». Il limone sul Garda comparve all’incirca nel XIII secolo, ad opera di certi frati francescani di Gargnano. Oggi, inizio del terzo millennio, dei limoni del Garda non se ne parla più. Restano, ormai ridotte a scheletri, difficilmente recuperabili, le antiche limonaie, autentiche testimonianze della storia benacese. Pozzi di storia e di civiltà che tramonta, ma che per fortuna a Lazise rimane ancora salda nell’animo di alcuni appassinati del «limone modello» e delle sue limonaie.

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