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"Qualunque cosa tu dica o faccia / c'è un grido dentro: / non è per questo, non è per questo! / E così tutto rimanda / a una segreta domanda: / l'atto è un pretesto"…….

Un anno fa l’addio a Marco Teggia Droghi

“Qualunque cosa tu dica o faccia / c’è un grido dentro: / non è per questo, non è per questo! / E così tutto rimanda / a una segreta domanda: / l’atto è un pretesto”. Questi versi di Clemente Rebora erano sul cartoncino di auguri del direttore generale dell’Azienda Ospedaliera di Desenzano del Garda per il Natale 1999. Li aveva scelti, insieme ad una breve riflessione di Luigi Giussani, personalmente l’allora direttore Marco Teggia Droghi. Di lì a pochi giorni, con il gennaio 2000, avrebbe lasciato la terra bresciana per un alto e prestigioso incarico a Milano: direttore generale dell’Agenzia regionale per la prevenzione ambientale (Arpa). Di lì a pochi mesi, nei giorni prossimi al Natale 2000 – un anno fa – la fine. Per questo, forse, il passaggio da Desenzano a Milano, una evidente “promozione”, sembrava non renderlo felice. O almeno, non quanto era lecito attendersi. Istinto, preveggenza, conoscenza della realtà di un male probabilmente già presente, che sarebbe sfociata nel dramma? L’unico che avrebbe potuto dirlo, non l’ha fatto. Ora non può più. Dal momento del commiato da Desenzano, tutto è precipitato nella vita di Marco Teggia Droghi. Ha sofferto molto e pensando a questa sua sofferenza non si può non andare con la memoria ad una delle sue idee ferme, delle sue aspirazioni, delle sue azioni di manager di una sanità pensata sempre con un profilo alto “perché è alto il profilo dell’essere umano”: la voglia di fare tutto il possibile per assistere i malati terminali nel modo più adeguato e – riteneva giustamente – doveroso. Aveva cominciato a Esine, quand’era direttore sanitario dell’Ussl 15 di Valcamonica; aveva proseguito a Desenzano, impegnando i tre presidi dell’Azienda Ospedaliera e sostenendo anche, in ogni modo e ad ogni costo, don Pierino Ferrari ed il Raphael nella guerra contro la sofferenza. E questa si è vendicata. Atrocemente.E’ facile parlare bene, oggi, di Marco Teggia Droghi. Era facilissimo “prima” per chi aveva la fortuna di conoscerlo e frequentarlo. Profondamente credente, ha ispirato sempre la sua azione ai valori della dottrina sociale della Chiesa, convinto della necessità di una riflessione culturale basata su concetti quali la piena accettazione del principio di sussidiarietà istituzionale; il riconoscimento di un sistema pluralistico di erogazione dei servizi, come avviene nei principali Paesi europei occidentali; il pieno riconoscimento dell’autonomia e della responsabilità del mondo scientifico-professionale sulla qualità e il contenuto delle prestazioni sanitarie, abbandonando quelle scelte “politiche” che immaginano il lavoro medico come “applicazione meccanica” di protocolli diagnostico-terapeutici di Stato; il pieno riconoscimento della libertà di scelta del cittadino all’interno di un sistema di accreditamento rigoroso delle strutture e dei professionisti, vero stimolo all’efficienza ed alla qualità di un servizio che sappia curare la persona ammalata, non la sola malattia.Quella malattia che l’ha stroncato, cinquantenne, il 19 dicembre 2000. A distanza di un anno, nella cappella dell’ospedale di Montecroce, viene ricordato anche con un messa, alle ore 19, presenti tutti coloro che lo hanno stimato e che a titolo diverso gli sono stati vicini, a cominciare dal direttore generale dell’Azienda Ospedaliera di Desenzano, dottor Angelo Foschini e dal direttore sanitario, professor Alfonso Castellani.

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