venerdì, Aprile 19, 2024
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Canale navigabile da Milano al Mincio e ramale per il Garda

Una fila di bettoline a san Nicolò

«Al canale navigabile, in quegli anni, io ci credevo». L’avvocato Renato Ballardini, all’epoca ascoltato deputato del Psi, argomenta questa convinzione, peraltro largamente condivisa. «Nei paesi industriali più evoluti d’Europa, Germania, Francia, Inghilterra, il trasporto fluviale era largamente utilizzato. I vantaggi sono rappresentati da un bassissimo costo d’esercizio.» Quella era l’Europa del carbone e dell’acciaio, affamata di energia per alimentare la crescita industriale che stava decollando dopo i disastri immani della seconda guerra mondiale, ancora visibili nelle case e negli uomini.Per restare nel piccolo della nostra terra, la Edison aveva appena finito di intubare il Sarca, ribaltandone cicli naturali e portate per produrre energia elettrica: ed i comuni, interpreti della povertà atavica d’una terra che avevano patito l’emorragia dell’emigrazione, erano più che soddisfatti dei soldi che i Bim elargivano, a risarcimento di danni che pochi sapevano bene quali fossero. Nella (relativamente) ricca Riva, quando sulle ceneri della falegnameria Zontini s’era prospettata l’eventualità di costruire una cartiera in viale Rovereto, in un terreno paludoso di proprietà Mandelli, nessuno aveva eccepito su possibili rumori, eccessivi consumi d’acqua, intasamento da traffico. L’impresa Lotti aveva assunto centinaia e centinaia di muratori ed era pane garantito; e poi sarebbero state centinaia di paghe per gli operai. In questo clima poteva starci anche un porto industriale a san Nicolò: un posto fuori dal mondo, verso cui s’allungava uno dopo l’altro una fila di alberghi costruiti a metà di speranze ed il resto a cambiali. D’altro canto come porto industriale era nato, con sfoggio di gerarchi e camicie nere il giorno dell’inagurazione. «Doveva diventare un grande porto, il porto più settentrionale del Mediterraneo. Dal cuore dell’Italia industriale, Milano, Dalmine, Brescia, una teoria di bettoline cariche di container avrebbero risalito il Mincio ed il Garda. A San Nicolò era previsto il trasferimento, su gomma o rotaia. Una selva di gru, una teoria di camion arrivati fin sulla sponda del lago correndo sulle quattro corsie del ramale benacense dell’autostrada del Brennero (in costruzione per tutti gli anni Sessanta) avrebbe caricato i contanier disperdendosi poi per i mercati dell’Europa settentrionale». Rientrava nei progetti l’eventualità d’un tronco ferroviario a scartamento normale: nipote possente del beato trenino della Rovereto Riva. Alla fine degli anni Sessanta la contestazione pose fine alla certezza che fosse tutto oro quel che luccicava, forse ingenua, sicuramente condivisa. Ricorda ancora l’avvocato Ballardini: «Il programma della «Commissione tecnica per la progettazione del canale navigabile Mincio-Ticino» avvizzì nei labirinti romani. Per noi rivani, anche a me personalmente, pesò molto lo spettro delle chiazze di idrocarburi che inevitabilmente avrebbero accompagnato il viavai delle bettoline. Spuntò lo spauracchio d’un trasporto di greggio». Il progetto venne definitivamente abbandonato nel corso d’una assemblea in Rocca, nel vecchio Auditorium dalle sovrapporte affrescate da Giacomo Vittone a vele latine. Alcuni soloni dell’Università di Milano vennero a dimostrare incofutabilmente, conti alla mano, che la rottura del carico avrebbe reso troppo oneroso il viaggio. E siccome era impensabile di arrivare col canale navigabile fino a Monaco o Stoccarda, non se ne poteva far niente. Gli stessi soloni, o loro parenti stretti, avevano dimostrato quindici anni prima, conti alla mano, che i soldi risparmiati nel primo tratto del tragitto, quello che si poteva fare su acqua, avrebbe comunque remunerato largamente l’investimento. Intanto era nata l’ecologia che finì comunque per incrociare con san Nicolò. Durante l’amministrazione Santi nei primi anni Settanta, Riva si dotò della prima rete fognaria completa della sua storia: e ai piedi del Brione, dove ancora si trova, finì il depuratore.

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