Home Storia del Garda Storie di Ferrovieri La Ferrovia Mantova-Peschiera (F.M.P.) – 1934–1967 di Giancarlo Ganzerla — 18a Puntata

La Ferrovia Mantova-Peschiera (F.M.P.) – 1934–1967 di Giancarlo Ganzerla — 18a Puntata

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L’am­i­co Gior­gio Capone ci tiene a rac­con­tare anco­ra alcu­ni fat­ti degli ulti­mi tem­pi di occu­pazione e di guer­ra che ave­vano coin­volto, in sen­so pos­i­ti­vo per for­tu­na, la sua famiglia, ma anche la cit­tad­i­na di Peschiera. All’inizio di aprile del 1945 si com­in­ci­a­va a capire che la guer­ra, per i tedeschi, non sarebbe dura­ta per molto. Il cen­tro di Peschiera era sta­to intera­mente iso­la­to, chiu­so con sbarre, così come la mag­gior parte delle attiv­ità com­mer­ciali. Eppure si vive­va, anzi si con­vive­va, con gli occu­pan­ti.

I ragazzi ado­les­cen­ti come Gior­gio rius­ci­vano a muover­si abbas­tan­za facil­mente per il paese, osser­van­do e mem­o­riz­zan­do tut­to, sen­za mai scadere in provo­cazioni inutili. Ci si arran­gia­va per procu­rar­si qual­cosa che potesse servire, mag­a­ri cer­can­do di pescare qualche pesce. Il padre di Capone, con il negozio di stoffe e sar­to­ria req­ui­si­to, ave­va dovu­to las­cia­re a casa le ragazze che vi lavo­ra­vano. L’uf­fi­ciale tedesco che ave­va pre­so in con­seg­na il negozio con tutte le mac­chine da cucire e le attrez­za­ture, ave­va fat­to capire che nul­la sarebbe sta­to toc­ca­to. Due giorni pri­ma del 25 aprile quel­l’uf­fi­ciale si pre­sen­tò al padre di Capone e gli resti­tuì le chi­avi del negozio, rimar­can­do che in un ango­lo le attrez­za­ture, cop­erte con dei teli, c’er­a­no anco­ra tutte.

Un anno dopo, nel 1946, in un lunedì di mer­ca­to a Peschiera, Gior­gio era inten­to a con­trol­lare fuori dal negozio gli abiti e le stoffe in ven­di­ta, quan­do vide avvic­i­nar­si un sig­nore con la pro­pria moglie che riv­ol­gen­dosi al ragaz­zo chiese di Domeni­co. Quan­do il padre uscì dal negozio bastò un atti­mo ad entram­bi per riconoscer­si ed abbrac­cia­r­si. L’ex uffi­ciale tedesco che un anno pri­ma ave­va ricon­seg­na­to il negozio in ordine era tor­na­to con la moglie, orgoglioso di mostrar­le che in Italia ave­va las­ci­a­to un ami­co. Andò all’os­te­ria vic­i­na a pren­dere un litro di bian­co con una gasosa e brindarono assieme feli­ci e com­mossi.

Non era sta­to l’u­ni­co ex mil­itare a tornare a Peschiera. Per diver­si anni anche l’at­ten­dente del coman­dante del­la piaz­zaforte tornò più volte a trovare i tan­ti ami­ci che si era fat­to durante la guer­ra. Un uffi­ciale polac­co del­la Wehrma­cht, con­va­les­cente in una delle tante ville trasfor­mate in ospedali, si innamorò di una ragaz­za del pos­to che poi sposò. Fini­ta la guer­ra rimase a Peschiera e non aven­do una occu­pazione fondò una coop­er­a­ti­va di recu­pero mate­ri­ali. Fini­to questo lavoro si spostò a a fare il portiere di notte in un alber­go. Purtrop­po rimase vedo­vo con due bam­bi­ni pic­coli, allo­ra tornò a Peschiera e dopo qualche tem­po sposò la sorel­la del­la moglie, “per­ché” disse “conosce­va bene i bam­bi­ni”. Super­fluo aggiun­gere che diven­tò cit­tadi­no di Peschiera a tut­ti gli effet­ti.

Quan­do par­tirono da Peschiera” ram­men­ta infine Gior­gio “ci si accorse che i tedeschi ave­vano piaz­za­to due sil­uri sot­to i pon­ti delle due porte storiche di acces­so, Por­ta Verona e Por­ta Bres­cia. Qualche uffi­ciale ave­va evi­den­te­mente las­ci­a­to l’or­dine di far­le saltare. Ma qualche altro uffi­ciale non lo fece, e le porte furono salve.”

I popoli non si odi­ano” scrisse qual­cuno su qualche libro di cui non ricor­do il nome. I viag­gia­tori tedeschi nel­l’Ot­to­cen­to veni­vano in Italia per­ché a scuo­la ave­vano let­to . Dopo la sec­on­da guer­ra mon­di­ale, chi era sopravvis­su­to ed era tor­na­to a casa, ritor­na­va con moglie e figli per rivedere i luoghi e ritrovare qualche ami­co. Così è ricom­in­ci­a­to nel dopoguer­ra il tur­is­mo sul Gar­da, dove i tedeschi ven­gono volen­tieri da decen­ni.

La ricostruzione era par­ti­ta imme­di­ata­mente per quan­to riguar­da le linee fer­roviarie di pri­maria impor­tan­za per la nazione, come è già sta­to det­to per pon­ti e viadot­ti del­la Milano-Venezia. Anche per la Man­to­va-Peschiera c’era voglia di ripar­tire, ma soprat­tut­to di cam­biare. Era evi­dente che con una sola loco­mo­ti­va a vapore, due o tre vet­ture e qualche car­ro mer­ci non si pote­va ipo­tiz­zare un grande futuro. Si apri­vano anche nuovi sce­nari, prog­et­ti per le cit­tà da ricostru­ire. Si incom­in­ci­a­va a immag­inare este­si poli indus­tri­ali. E le fer­rovie dove­vano entrare in questi piani come asse por­tante delle comu­ni­cazioni e dei trasporti.

Già il 18 luglio 1945 usci­va un arti­co­lo di fon­do sul foglio “Man­to­va Lib­era” a fir­ma “Civi­cus”, uno pseudon­imo che evi­den­te­mente rap­p­re­sen­ta­va una pre­sa di posizione di grup­po d’opin­ione. “Pro­poste per la ricostruzione di Man­to­va – Le comu­ni­cazioni fer­roviarie – La sis­temazione stradale-fer­roviaria del­la zona di Por­ta Muli­naPer­ché si può credere nel­la futu­ra zona indus­tri­ale di S. Gior­gio”. Così decla­ma­va il tito­lo. Si par­la anche del­la fer­rovia Man­to­va-Peschiera. “Dal­la cit­tà, sfrut­tan­do per ora il bina­rio del­la Man­to­va-Verona sino a S. Anto­nio, si diparte inoltre ver­so nord la Man­to­va-Peschiera che con­sente ai man­to­vani di affac­cia­r­si al Bena­co – questo mag­giore e davvero mag­nifi­co lago vir­giliano – e di più breve­mente col­le­gar­si alla impor­tan­tis­si­ma lin­ea di traf­fi­co Milano-Venezia. La dis­truzione com­ple­ta dei pon­ti fer­roviari di Por­ta Muli­na e del­la Diga pone oggi questo prob­le­ma: deb­bono restar fer­mi i trac­ciati delle due linee fer­roviarie per Mon­selice e per Verona; e deb­bono quin­di ricostru­ir­si i pon­ti dis­trut­ti nelle stesse local­ità in cui sorgevano e nelle medes­ime forme? […] Ma per quan­to riguar­da la lin­ea di Verona – ed implici­ta­mente quel­la di Peschiera – è sor­to in talu­ni il dub­bio che meglio con­ven­ga abban­donare il preesistente trac­cia­to. Anche la nuo­va Ammin­is­trazione Comu­nale ammette la pos­si­bil­ità di una devi­azione del­la Mantova‑S. Anto­nio alla Diga Maset­ti, a servizio del­la futu­ra zona indus­tri­ale di S. Gior­gio.” Il cro­nista pros­egue attribuen­do questo prog­et­to di sposta­men­to del trat­to fer­roviario, con pro­l­unga­men­to di 6 km per le due linee, al piano Andreani, per favorire il nuo­vo polo indus­tri­ale di S. Gior­gio. Ma con­clude: “Ci sia per­me­s­so di esprimere il nos­tro parere net­ta­mente con­trario alla devi­azione pro­pos­ta”. Nat­u­ral­mente si dilun­ga a spie­gare le ragioni del­la net­ta oppo­sizione al prog­et­to, con­clu­den­do che allun­gare la Man­to­va-Verona e la Man­to­va-Peschiera di 6 km: “è dunque un non-sen­so (absit injuria ver­bis) da sep­pel­lire d’ur­gen­za”.

A pochi mesi dal­la fine del con­flit­to, evi­den­te­mente, com­in­ci­a­vano a sorg­ere con­trap­posti grup­pi di potere politi­co. Nel prog­et­to illus­tra­to risalta agli occhi la penal­iz­zazione che avreb­bero subito i due col­lega­men­ti con il pro­l­unga­men­to di un ses­to del loro per­cor­so. For­tu­nata­mente non se ne fece nul­la e la Mantova‑S. Anto­nio corre anco­ra oggi accan­to al Ponte dei Muli­ni, o Ponte di S. Gior­gio, ricostru­ito.

Pec­ca­to non ci siano più i carat­ter­is­ti­ci muli­ni, immor­ta­lati sul­lo sfon­do del quadro “Morte del­la Vergine” (1462–64) dal­la inci­si­va mano di Andrea Man­teg­na.

con­tin­ua

Si potreb­bero inti­to­lare “ieri e oggi” le due foto a corre­do del testo. La posizione di ripresa è pres­s­ap­poco la stes­sa:

Nel­la foto in b.n. (anni 30–40 cir­ca), si vede il bina­rio fer­roviario del­la Darse­na di Peschiera che corre lun­go la banchi­na, con un car­ro fer­roviario sul tronchet­to finale (il bina­rio a sin­is­tra più pic­co­lo è quel­lo di una Decauville per i car­relli­ni di ster­ro vis­i­bili in pri­mo piano). Sul fon­do il fab­bri­ca­to viag­gia­tori del­la stazione F.S. di Peschiera.

La foto a col­ori è sta­ta scat­ta­ta nel 2020. Si riconoscono i due tipi­ci capan­noni, rimasti, le bitte sul­la banchi­na e un grosso palo in cemen­to super­stite di quel­li vis­i­bili sul­la vec­chia foto. (foto G. Ganz­er­la)

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