Home Storia del Garda Storie di Ferrovieri La Ferrovia Mantova-Peschiera (F.M.P.) – 1934–1967 di Giancarlo Ganzerla — 19ª puntata

La Ferrovia Mantova-Peschiera (F.M.P.) – 1934–1967 di Giancarlo Ganzerla — 19ª puntata

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ALm 56.109 noleggiata presso le FS nel dopoguerra dalla Ferrovia Mantova-Peschiera per far fronte alla carenza di materiale rotabile. In seconda posizione, sul binario tronco di Peschiera FMP, le due automotrici ex Ansaldo appena ricostruite dalle Officine Marconi di Curtatone. Ottobre 1949 Foto Studio Calzolari - collezione Alessandro Muratori

Men­tre a Man­to­va si dis­cute­va se fos­se pos­si­bile deviare la fer­rovia da S. Anto­nio alla stazione del­la cit­tà, per favorire l’inse­di­a­men­to del­la futu­ra zona indus­tri­ale di S. Gior­gio, sui gior­nali per qualche tem­po si ricom­in­ciò a par­lare del pro­l­unga­men­to del­la Man­to­va-Peschiera ver­so Lazise, e non solo, ma fino a Domegliara. Il “Gior­nale di Bres­cia” l’11 luglio 1947 titola­va: “La prog­et­ta­ta Gen­o­va-Bren­nero – L’op­po­sizione dei verone­si al trat­to Peschiera-Domegliara”. Bres­cia era favorev­ole alla real­iz­zazione di questo rac­cor­do, così come Cre­mona e altre provin­cie lom­barde e piemon­te­si. La pre­sa di posizione del­la Cam­era di Com­mer­cio di Verona fu forte fin da subito. Scrive­va il cro­nista: “Allar­ma­ta dal­l’azione che il Comi­ta­to pro­mo­tore del­la fer­rovia Gen­o­va-Pia­cen­za-Cre­mona-Bres­cia-Bren­nero sta svol­gen­do, nel­la quale intravvede il peri­co­lo di essere estromes­sa dal per­cor­so, specie se ver­rà attua­to il rac­cor­do Peschiera-Domegliara, ha invi­a­to al Min­is­tero dei Trasporti una for­male oppo­sizione con­tro qual­si­asi devi­azione del traf­fi­co fer­roviario da Verona”. Nat­u­ral­mente a ques­ta pre­sa di posizione la Cam­era di Com­mer­cio di Cre­mona pre­sen­tò subito for­male con­tro-oppo­sizione, segui­ta da Bres­cia.

L’ar­go­men­tazione forte era che la costruzione del rac­cor­do di soli 13 km tra Peschiera e Domegliara, avrebbe accor­ci­a­to di 28 km il per­cor­so dei treni mer­ci e viag­gia­tori, prove­ni­en­ti dalle provin­cie lom­barde oltre Peschiera, ver­so le provin­cie del­la Venezia Tri­denti­na e il Bren­nero. Qualche giorno dopo, il 3 agos­to 1947 il “Gior­nale di Bres­cia”, in un arti­co­lo in pri­ma pag­i­na dal tito­lo Van­tag­gi del rac­cor­do fra Peschiera e Domegliara ten­tò di rilan­cia­re con inter­es­san­ti con­sid­er­azioni, min­i­miz­zan­do gli svan­tag­gi che Verona avrebbe subito.

Come è noto, questo rac­cor­do, caldeg­gia­to da decen­ni pri­ma da Man­to­va e poi dalle provin­cie lom­barde, non venne mai com­pi­u­to. Così come non furono mai real­iz­zate le tan­to aus­pi­cate fer­rovie o tran­vie elet­triche sulle sponde del per rag­giun­gere Tren­to sia da Bres­cia sia da Peschiera. Cer­to è che se almeno il pro­l­unga­men­to Peschiera-Domegliara fos­se sta­to costru­ito, la Fer­rovia Man­to­va-Peschiera avrebbe guadag­na­to ben altra impor­tan­za, e forse un futuro. Inutili rimpianti.

La S.A.E.R., la sub-con­ces­sion­ar­ia che malv­o­len­tieri ave­va ria­per­to la lin­ea, non fece asso­lu­ta­mente nul­la per miglio­rare la situ­azione dei rota­bili disponi­bili e delle infra­strut­ture, e nem­meno pro­gram­mò seri­amente una par­ven­za di ricostruzione. Come era facil­mente ipo­tiz­z­abile il 31 agos­to 1947 la S.A.E.R., “sot­traen­dosi arbi­trari­a­mente agli impeg­ni cui la lega­va la sub-con­ces­sione, abban­donò l’e­ser­cizio. I treni, per quel giorno restarono fer­mi”. Amare con­sid­er­azioni nelle parole di Alessan­dro Mura­tori. Il Con­sorzio, però, che ave­va intu­ito ciò che la S.A.E.R. ave­va in ani­mo di fare, si mosse politi­ca­mente.

Sem­bra­vano già tut­ti pron­ti ad inter­venire, in prim­is il Prefet­to di Man­to­va, quan­do nel­lo stes­so giorno di chiusura del­la fer­rovia nom­inò Com­mis­sario al Con­sorzio l’avvo­ca­to Car­lo Bertaz­zoni, Pres­i­dente del­l’Am­min­is­trazione Provin­ciale di Man­to­va, con l’in­car­i­co di provvedere alla con­tin­u­azione del­l’e­ser­cizio. Infat­ti all’al­ba del giorno dopo, I° set­tem­bre, la cir­co­lazione dei treni riprese rego­lar­mente. Deve essere sta­to pro­prio una bra­va per­sona Car­lo Bertaz­zoni, per­ché si dedicò con tutte le sue notevoli capac­ità a far sì che la situ­azione del­la fer­rovia Man­to­va-Peschiera miglio­rasse nei lim­i­ti del pos­si­bile. Riordinò ciò che pote­va essere recu­per­a­to, riat­ti­van­do i bina­ri delle stazioni asportati dal­la S.A.E.R. per ripristinare quel­li di lin­ea. Ricos­ti­tuì un min­i­mo di scorte, per­ché solo allo­ra si sco­prì che la soci­età sub-con­ces­sion­ar­ia ave­va provve­du­to a vendere tut­ti i mate­ri­ali di scor­ta, com­pre­sa una pic­co­la gru di offic­i­na. Operò, prati­ca­mente sen­za risorse, ma con risul­tati sod­dis­facen­ti, fino al feb­braio 1948. Il 14 feb­braio, dopo aver apposi­ta­mente con­vo­ca­ta l’Assem­blea gen­erale, il Con­sorzio pose fine alla ges­tione com­mis­sar­i­ale e iniz­iò la ges­tione ordi­nar­ia. A quel pun­to era verosim­i­le pen­sare che la Man­to­va-Peschiera non avrebbe cor­so il ris­chio di chiusura.

Il com­pi­to che si era assun­to il Con­sorzio era pesante. Le con­dizioni del­la lin­ea, delle infra­strut­ture, del mate­ri­ale rota­bile rimas­to era­no a tal pun­to pre­carie che la stes­sa sicurez­za del­la cir­co­lazione non pote­va essere garan­ti­ta. Ma l’im­peg­no era ben sup­por­t­a­to dal­la volon­tà polit­i­ca e ammin­is­tra­ti­va dei ver­ti­ci man­to­vani, oltre che dalle aspet­ta­tive delle popo­lazioni del­l’in­tera val­la­ta del Min­cio. Impeg­nan­dosi a man­tenere il servizio viag­gia­tori, il Con­sorzio fece l’u­ni­ca e pos­si­bile mossa che c’era da fare: chiedere alle Fer­rovie del­lo Sta­to di pot­er aver in noleg­gio delle “lit­torine”.

Le F.S., anch’esse impeg­nate in una ricostruzione post-bel­li­ca del­la rete e nel­l’ap­provvi­gion­a­men­to par­ti­co­lar­mente dif­fi­cile di nuovi rota­bili, con­cessero alcune auto­motri­ci fun­zio­nan­ti a metano, le ALm 56 Fiat (la sigla sta per Auto­motrice Leg­gera metano, 56 era il numero dei posti a sedere (N.d.R.).

La scelta, anche per le F.S., di con­cedere a noleg­gio oneroso (lire 113 per km, por­tate poi a lire 134 per km) questo tipo di’littorinè fu det­ta­ta dal fat­to che dagli anni 40 un centi­naio di auto­motri­ci ali­men­tate a metano cir­cola­vano nel­la bas­sa pia­nu­ra Padana, zona in cui si anda­vano sco­pren­do i giaci­men­ti di questo gas com­bustibile. Durante il con­flit­to mon­di­ale queste auto­motri­ci garan­tirono il servizio viag­gia­tori lun­go le linee -Cre­mona-Man­to­va; Verona-Man­to­va-Mod­e­na; Verona-Iso­la del­la Scala-Nog­a­ra-Cerea-Leg­na­go-Mon­selice-Pado­va; Ostiglia-Leg­na­go; Vicen­za-Rovi­go-Chiog­gia. Quin­di le auto­motri­ci era­no già di stan­za al depos­i­to di Man­to­va. A par­tire dal 1948 tutte queste mac­chine saran­no via via trasfor­mate dalle F.S. con ali­men­tazione diesel a naf­ta, e quin­di con­trad­dis­tinte dal­la sigla ALn 56, dovèn’ sta appun­to per naf­ta, com’era allo­ra chiam­a­to il gaso­lio.

Il noleg­gio era molto cos­toso. Tra l’al­tro, scarseg­gian­do il car­bone per le loco­mo­tive a vapore uti­liz­zate su queste linee non elet­trifi­cate, per l’ef­fet­tuazione di treni mer­ci e di qualche treno passeg­geri con vet­ture, le Fer­rovie del­lo Sta­to recla­marono una resti­tuzione delle auto­motri­ci appe­na pos­si­bile.

Per garan­tire la sicurez­za del­la lin­ea, las­ci­a­ta colpevol­mente sen­za manuten­zione dal­la S.A.E.R., ci si rese con­to che occor­re­va provvedere urgen­te­mente alla sos­ti­tuzione di oltre quindicim­i­la tra­ver­sine in leg­no che non era­no più in gra­do di garan­tire la tenu­ta e lo scar­ta­men­to dei bina­ri.

Per sostenere tutte le spese di riparazione e di ripristi­no fu nec­es­sario ricor­rere ad un mutuo, chiesto dal Con­sorzio ed ottenu­to pres­so la Cas­sa di Risparmio di Verona, Vicen­za e Bel­luno. Ma la disponi­bil­ità finanziaria, alla fine, ammon­ta­va a soli 60 mil­ioni di Lire. Con queste risorse non si pote­vano ordinare sicu­ra­mente nuovi rota­bili all’in­dus­tria pri­va­ta, oltre­tut­to impeg­na­ta mas­s­ic­cia­mente nel­la ricostruzione dei rota­bili delle Fer­rovie del­lo Sta­to.

Come spes­so suc­cede, quan­do la volon­tà e l’ingeg­no sop­periscono alla man­can­za di risorse, la soluzione adot­ta­ta dopo fati­cose ricerche divenne fon­da­men­tale per l’im­mag­ine stor­i­ca del­la Fer­rovia Man­to­va-Peschiera. Sen­za alcun dub­bio le auto­motri­ci bianche e azzurre che, alla fine di una com­p­lessa oper­azione di ricostruzione, furono messe in eser­cizio sul­la F.M.P. risul­ta­vano “le più belle ed accogli­en­ti auto­motri­ci del tem­po, vere navi in miniatu­ra per comode crociere su rotaie, nobili ed uniche figlie del­la pas­sione del­la grande Ansal­do”. Così recita­va un procla­ma in Inter­net del Comi­ta­to per la ria­per­tu­ra del­la Fer­rovia Man­to­va-Peschiera.

Ques­ta sto­ria meri­ta di essere ricor­da­ta con par­ti­co­lare inter­esse.

Con­tin­ua

ALm 56.109 noleg­gia­ta pres­so le FS nel dopoguer­ra dal­la Fer­rovia Man­to­va-Peschiera per far fronte alla caren­za di mate­ri­ale rota­bile. In sec­on­da posizione, sul bina­rio tron­co di Peschiera FMP, le due auto­motri­ci ex Ansal­do appe­na ricostru­ite dalle Officine Mar­coni di Cur­ta­tone.
Otto­bre 1949
Foto Stu­dio Cal­zo­lari — collezione Alessan­dro Mura­tori

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