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Nabokov a caccia di farfalle a Gardone

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Lo scrit­tore rus­so — amer­i­cano, nel 1965, al cul­mine del suc­ces­so per il roman­zo scan­da­lo Loli­ta, sog­giornò con la moglie Vera al Grand Hotel. Era sul lago in veste di ento­mol­o­go, in cer­ca degli esem­plari rari che si trovano nel ter­ri­to­rio bena­cense

Era il 23 giug­no del 1965. Vladimir Nabokov scrit­tore rus­so, nato a Pietrobur­go nel 1899, emi­gra­to in Europa nel ‘17, vis­su­to in Inghilter­ra, Fran­cia e Ger­ma­nia, statu­nitense dal 1940, era al cul­mine del suc­ces­so anche in Italia dopo la pub­bli­cazione di Loli­ta (ben dieci edi­zioni nel solo 1959) e si trova­va in vacan­za a Gar­done Riv­iera.
Nel gia­rdi­no del Grand Hotel, in quel pomerig­gio di sole, Nabokov appari­va un tran­quil­lo e ormai anziano per­son­ag­gio, alto e robus­to, sicuro davan­ti alla cinepre­sa, la paci­fi­ca moglie a fian­co. In quel sig­nore abbiglia­to alla colo­niale, più da inglese che da rus­so-amer­i­cano, tur­ista come tan­ti in vacan­za sul Gar­da, mi fu dif­fi­cile vedere l’au­tore del best-sell­er che ave­va fat­to «scan­da­lo» per cui lo scrit­tore era sta­to bol­la­to come ero­tomane (Loli­ta fu edi­to per la pri­ma vol­ta nel 1955 dal­l’Olympia Press di Pari­gi spe­cial­iz­za­ta in pub­bli­cazioni erotiche). Solo durante l’in­ter­vista per un cine­gior­nale, quan­do gli chiesi per­ché avesse scel­to Gar­done Riv­iera per un sog­giorno di riposo, la rispos­ta mi parve sulle prime ambigua.
— Su queste colline esistono far­falle rare -, rispose.
Che in Amer­i­ca le lolite fos­sero chia­mate far­falle? Abboz­zai un sor­riso. C’era poco da rid­ere: Nabokov — lo appre­si dalle sue stesse parole — era anche un ento­mol­o­go (di quale fama!), oltre che rep­u­ta­to criti­co e scrit­tore di ben altro spes­sore da come lo con­sid­er­a­vano i super­fi­ciali let­tori del suo più cele­bre roman­zo.
Quan­do infat­ti pub­blicò nel 1926 il suo pri­mo libro, Masen­ka era già autore maturo, capace di rara sapien­za let­ter­aria, di gus­to per la sper­i­men­tazione, di abile fusione di ele­men­ti nat­u­rali e di motivi derivati dal­la vita. Alle spalle la lun­ga for­mazione intel­let­tuale inizia­ta nel­l’a­ma­ta ter­ra rus­sa che porterà sem­pre nel cuore con le opere degli scrit­tori che gli furono maestri, base del­la sua edu­cazione intel­let­tuale: Dos­toievskj e Gogol (al quale nel 1944 dedicherà un acu­to sag­gio); oriz­zonte allarga­to, pro­prio a par­tire dal 1917, con il meglio del­la pro­duzione let­ter­aria euro­pea dei decen­ni suc­ces­sivi: Proust, Kaf­ka, Gide, Thomas Mann.
Nabokov divenne presto il tipi­co rap­p­re­sen­tante di un cos­mopolitismo let­ter­ario capace d’innestare sul­l’o­rig­i­nar­ia for­mazione un più vas­to modo di sen­tire che lo ren­derà inter­prete sagace di un mon­do nuo­vo attra­ver­so la col­lo­cazione fuori dal tem­po di situ­azioni con­tin­gen­ti, cre­an­do addirit­tura un pro­totipo umano, Loli­ta appun­to, al pari di altri gran­di autori (e basti ricor­dare Cer­vantes con Don Chis­ciotte o il Man­zoni con Per­pet­ua).
Nabokov, che pote­va indif­fer­ente­mente scri­vere in francese, tedesco, inglese o rus­so, dopo il 1945 scelse come lin­gua l’in­glese, tra­ducen­do egli stes­so nel­l’id­ioma mater­no i lib­ri che ave­va scrit­to all’es­tero.
Dopo il suc­ces­so mon­di­ale di Loli­ta (1955), rag­giunse il momen­to forse più alto con Ada (1969) dove esem­pli­ficò «in maniera asso­lu­ta i temi del­la sua visione let­ter­aria: il gio­co come uni­co atto di ver­ità pos­si­bile, l’am­bi­gu­i­tà, la mis­e­ria osses­si­va del ses­so» (Car­lo Bo).
Fu all’e­sor­dio poeta di stam­po sim­bolista, poi eccel­lente criti­co di let­ter­atu­ra rus­sa – che inseg­nò per un decen­nio alla Cor­nell Uni­ver­si­ty di Itha­ca –, e autore di romanzi e sag­gi, fra cui: Re Don­na Fante (1928), La dife­sa di Luzin (1929), L’oc­chio (1930), Cam­era oscu­ra (1932), Invi­to a una decap­i­tazione (1935), La vera vita di Sebas­t­ian Knight (1941), Bend Sin­is­ter (1949), Fuo­co pal­li­do (1962); e anco­ra rac­colte di rac­con­ti, un’au­to­bi­ografia (Par­la ricor­do, 1967) e traduzioni, fra cui Evgenij One­gin di Puskin. Morì in Svizzera il 2 luglio 1977, a 78 anni, per un mis­te­rioso virus che lo ave­va col­pi­to un anno pri­ma.

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