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Dal Monte Baldovedi Veneziama le sue leggi no

La catena del Baldo misura 38 chilometri di lunghezza e dieci di larghezza e si affaccia sui 368 chilometri quadrati del lago di Garda (49 chilometri cubi d’acqua). È il Paterno monte per i veronesi, ai quali si dice ispiri l’estro che li fa «tuti mati»: l’aria del monte Baldo.È l’Hortus Italiae per i botanici, dato che comprende in un brevissimo sviluppo, dalle pendici ai 2000-2200 metri delle creste, una varietà di fiori, arbusti e alberi che passa dai climi mediterranei a quelli subartici. Ma nei sette circhi glaciali rimasti, nei luoghi più riparati, fra i microclimi, trovate flora e oasi di rifugio, generi e specie endemiche, rimaste isolate e sopravvissute qui quando, sia sul lago intero che dalla Vallagarina, scendevano immensi ghiacciai. In parallela direzione Nord-Sud abbiamo il lago di Garda a ovest e l’Adige a levante, da Rovereto alla storica Chiusa di Ceraino. La Chiusa è un canyon non si sa ancora se scavato dal fiume o se dai Romani (per rendere navigabile il corso e portar giù, in zattera, le pietre da costruire Verona). La Chiusa è luogo notissimo, non solo per le battaglie napoleoniche: nodo dei traffici dell’Europa centrale con la penisola, da lì passarono tutti, anche gli invasori d’Italia, dai barbari in poi. Tra le acque del Garda e quelle dell’Adige, alta, parallela, lirica infilata di crinali e cime, tutta una cresta, lui, il monte Baldo.BOSCO E DISBOSCO. Il nome del Baldo sembra derivare dal tedesco Wald secondo Eugenio Turri. Wald come bosco. E disbosco. Nei secoli è stato luogo di rapina per le fustaie di roveri, querce, carpini, castagni, lecci, frassini, betulle, conifere e, soprattutto, faggi. Oggi trovi pascoli immensi, punteggiati da ben 52 baiti, le malghe dall’edificio centrale con camino esterno absidato, in sasso, che hanno matrice almeno cinquecentesca.Il Baldo è in felice posizione geografica, lo sanno i nove milioni di turisti che ogni anno arrivano sul lago. Basta camminare sulle creste, per i sentieri, che vedi Appennini e Monte Rosa, Venezia e Adamello, Presanella, Caré Alto, Gruppo di Brenta, Cornone di Blumone, Giudicarie, Pizzocolo, monte Gu, il profilo di Napoleone. Uno scrigno delle meraviglie alla portata di tutti. Ripido, selvoso, percorso da forre rupestri dalle pareti altissime sul Garda, meno aspro nelle propaggini verso la val d’Adige, declive sulla piana del Caprinese, dolcissimo nella parte trentina con l’Altissimo (2079 metri) la minore, ma quella dove lo si ha più a cuore.PARADISO DEI GEOLOGI. Il Baldo ha visto i geologi disputarne la genesi. Si immagini un foglio di carta preso per il lungo e premuto a formare due pieghe, una in basso e una in alto: quella alta, nella piega cerniera, è stata erosa, i detriti sono precipitati (altrimenti la quota sarebbe ancora maggiore), di 800 metri e più. Il motivo «a pieghe» che caratterizza la tettonica del Monte Baldo prosegue nella prospiciente Lessinia.Il massiccio montuoso è costituito in gran parte da rocce sedimentarie di origine marina, le più antiche delle quali si depositarono circa 200 milioni di anni fa, mentre le più recenti «solo» 40 milioni di anni fa. Oltre a queste esistono vasti affioramenti di rocce magmatiche di tipo basaltico che si depositarono principalmente sui fondali sottomarini. Sono moltissimi gli spunti di interesse geomorfologico. Classici i «ferri da stiro», enormi placche rocciose coperte di vegetazione, le bellissime doline del monte delle Rissare o le zone in cui sono conservati, come a Lumini, antichissimi suoli, o tracce di grandi valli fluviali: la valle del torrente Tasso è geologicamente più antica della valle dell’Adige. Il Baldo è ideale per l’osservazione dell’anfiteatro morenico gardesano e dell’intero entroterra della riviera bresciana.Infine l’orso arrivato dal Trentino. È la novità naturalistica del Baldo, ma quest’ultimo arrivato (benvenuto) è solo l’ennesimo testimone di quanto sia ricco e prezioso questo ambiente. Un patrimonio straordinario e che merita di essere protetto. Perché allora il Baldo non è ancora un parco naturale? Da quasi quarant’anni giacciono alla Regione Veneto ben cinque progetti di un parco naturale baldense, ma chi non lo vuole e chi semmai nell’orto altrui. Perché, dicevano gli amministratori locali, «il parco impedirebbe il pascolo, il restauro alle case, il taglio del fieno, l’apertura di una finestra, le colture stesse». Panzane. Nessuno le ripete più, ma intanto sono servite per bloccare sul nascere ogni progetto.RARE OASI. Oggi le zone protette per legge sono limitate alle riserve naturali integrali, già amministrate dal ministero Agricoltura e Foreste, ora di Veneto Agricoltura: la Lastoni-Selva di 978 ettari e la Gardesana Orientale, al confine con Trento, di 2184 ettari. Sono zone off-limits, fuori dai sentieri segnati. Si parla ormai di tutelare quanto si tutela già da solo, sopra i 1500 di quota, dato che non ha riflessi economici immediati. Un parco vero potrebbe invece costituire un volano per le comunità locali e per promuovere un turismo non «cannibale».L’idea è discussa, talvolta avversata dalle amministrazioni baldensi, ha una storia contorta nel gioco di adesioni e dinieghi tra il demagogico, il populista e il tartufesco. «La zona di Prada ormai è pregiudicata, lasciatecela dunque fuori». Ma chi l’ha distrutta? Il progetto urta contro interessi speculativi di varia portata: impianti, alberghi, villaggi, lottizzazioni, nuove strade. Era rimasto il Club Alpino Italiano a battersi per il parco, visto anche come base per un’educazione ecologica della gente veronese. «A Venezia, dalle forze politiche e dalla giunta della Regione, il Parco regionale del monte Baldo attende il via della legge», scrivemmo a conclusione del volume del centenario della sezione di Verona del Club Alpino Italiano. Era il 1977, 31 anni fa. C’era l’illusione che l’istituzione del parco fosse in dirittura d’arrivo…CACCIA O NO. Opposizione al parco giunse in passato dai cacciatori: erano 18mila, in provincia, 15 anni fa; oggi sono 10.300, di cui 700 tesserati nella zona baldense (nove i Comuni nella Comunità montana: Brentino Belluno, Brenzone, Caprino, Costermano, Ferrara, Malcesine, Rivoli, San Zeno di Montagna e Torri del Benaco), su di una popolazione di 25mila persone (più quasi 5 milioni di presenze turistiche) fra riviera e montagna. Solo il 2,8 per cento degli abitanti; ma, elettoralisticamente parlando, ogni doppietta si moltiplica per quattro voti. Infatti, se di parco parlano ancora, gli amministratori locali aggiungono sempre di volervi un ruolo anche per i cacciatori, «quali controllori del territorio e selezionatori patentati delle specie».Ma il parco non significa solo un territorio che studi e tuteli la fauna (venatoria e non). Significa anche approccio corretto al patrimonio edilizio storico tipico, laddove, tutt’oggi, ogni ristrutturazione è una devastazione cementizia (eppure esistono da sempre le malte). Significa un piano per i colori delle facciate (ora impazza il giallo limone e il rosso amaranto), protezione per le marogne, che crollano ovunque, per gli oliveti e i castagneti rinselvatichiti, per le mulattiere che vengono impunemente cementate (vedi la Malcesine-Prài, sette chilometri di un unico scivolo da garage) e non rilastricate a molìne, protezione per i sentieri, per le specie rare di alberi da frutto, per la qualità del miele e del formaggio spacciati per tipici; significa tutela dei tanti, bellissimi, forti abbandonati ai vandali…PROSPETTIVA. Invece si potrebbe fare un elenco di quello che non c’è. Non c’è informazione al pubblico sulla fauna e sulla flora, eccezionale: altrove, gli endemismi floristici sono mappati col sistema GPS e tutti i dati si trovano su sito internet. Manca un centro di documentazione che unifichi gli sforzi di tante associazioni volontarie. Il Baldo sta bene lo stesso? I turisti vengono comunque, anche senza tanta ecologia e cultura e tradizioni e gastronomia tipica? Sulla riviera stanno benissimo con il turismo forte? Sarà.Il parco è (sarebbe) anche questione di dignità, decoro, informazione, oltre che di economia, in una prospettiva intelligente. Di coraggio civile, educazione alla bellezza, rispetto del primo bene che ci è affidato, la natura, nelle sue straordinarie, fascinose complessità. Quindi anche dell’uomo. Uno va sulle cime per vedere lontano. Si chiama lungimiranza.

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