giovedì, Aprile 25, 2024
HomeStoria del GardaLe storie di RigùI dileggi dei “Ciòca Mars”

I dileggi dei “Ciòca Mars”

Era molto simpatica per l’allegria e la vivacità, ora in totale disuso, se non nei racconti; attesa perché dava un tono alla fine dell’inverno ed era pure un brevissimo momento di allegria (per qualcuno).

Importante citarla non solo per l’allegro ricordo, ma anche per le sue origini che hanno anche la provenienza molto remota.

Alla fine di febbraio, negli ultimi due giorni, i giovani andavano a “ciocà Mars”, battere Marzo che arrivava e “sementà”, cioè prendere in giro ragazze da marito e donne giovani e anche maritate con una sorta di canti sguaiati.

Queste ricevevano una specie di serenata vociante e fracassona col cui canto venivano accoppiate a personaggi caratteristici che in molti paesi ci sono stati, come pure ad oggetti o cose tipiche del lavoro, ma sempre in modo dispregiativo, e talvolta al Tizio od al Caio che in assenza di mariti potevano suscitare gelosie e rabbie.

Raccolti gli “strumenti” per suonare e cioè vecchie pentole rotte, latte e bidoni, e qualche coperchio in disuso, il gruppo partiva facendo un gran fracasso con gli “strumenti”, percuotendoli con dei bastoni, mentre da dietro le finestre chiuse, le ragazze e le donne, con curiosità e un poco di ansia, spiavano attraverso le fessure delle persiane, per sentire quanto sarebbe stato loro riservato, in cuor loro pensando che avrebbero ascoltato i messaggi rivolti a qualcun’altra.

La lunga filastrocca cantata e accompagnata dal concerto dei bidoni di latta, lasciava molte volte un segno di rabbia su quelle donne che non gradivano quel tipo di accostamento, soprattutto se individuavano messaggi di avvio alla strada dello zitellaggio, oppure, su altre, la percezione che una qualche tresca potesse essere stata scoperta portava delle reazioni tangibili, ed altre ancora erano segnalate a qualche personaggio locale, e pure a qualche caratteristico oggetto del loro modo si vivere e altre fantasie.

Ricordo un abbinare una ragazza, purtroppo non bella, alla barba delle sue capre; eravamo nel 1944, in una sera di pausa dalle incursioni del Pippo e cioè quell’aereo che sorvolava di notte i nostri territori facendo molta paura, e che lanciava anche bombe

Altre volte era qualche spasimante respinto a cercare una sorta di vendetta, ma mai, proprio mai erano serenate romantiche.

I testi divertenti e gustosi erano questi:

El ciòca Mars sö chesta tèèèra! Batte Marzo su questa terra!

più volte ripetuta con forti colpi di bastone sui bidoni e le latte

Se ghà de maridà na s-cèta bèla! Si deve maritare una ragazza bella !

Ch’éla, chi no èla??? Chi è, chi non è???

L’è la bèla!!! È la bella !!!

Chi töèla? Chi prende ?

Èl… il…

e via col gran concerto di bidoni

Domeghèl? Diamoglielo ?

Domeghèl! Diamoglielo !

Con assordante accompagnamento di urla e della “musica”. Però l’abbinamento poteva non essere quello giusto o voluto, e si intonava anche una risposta, magari di un altro gruppo in contrapposizione che non passava lì per caso!

Ed allora:

Ma la la völ miaaaa! Ma non lo vuole!

Alura chi ghe dome? Allora chi le diamo ?

Èl s-ciòr… de la magiustrina!

Il Signor… della magiustrina!

La la völ miaaaa! Non lo vuole!

Chi ghe dome? Chi le diamo ?

Èl fiöl del fatùr! Il figlio del fattore !

La la völ miaaaa! Non lo vuole !

Alura chi ghe dóme? Allora chi le diamo?

La barba de le sò cavre! La barba delle sue capre!

Domeghèle ? Diamogliele?

Domeghèle !

Diamogliele! L’armonia dei bidoni raggiungeva il massimo, e mentre dietro le persiane si consumavano momenti di rabbia e di disappunto, e poi quella fanfara si spostava verso nuove case con altre finestre “curiose” sotto le quali, a rispettosa e “convenientemente” distanza, continuare l’avventura.

In qualche località questa usanza si chiamava “trato-marso” e si è dibattuto sull’origine del nome: “contratto di marzo?” –“ invito a marzo”? – tirata o tirato (come entrata) di marzo.

Irrisolto il dubbio, resta la certezza che fosse quella la allora celebrazione di Calendimarzo con l’inizio dei tepori di primavera che sancivano l’avvio dell’anno.

Era costume accendere dei fuochi o falò anche recentemente, come ripreso nell’era Cristiana e nel rincorrersi equinozio – solstizio – equinozio sospinto dalle celebrazioni religiose, come pure quelle dei lumi e poi lumini di Ognissanti e del successivo giorno dei morti e ricordando pure il rincorrersi del freddo e del caldo: San Vincèns de la gran fredüra e San Lorèns de la gran calüra, póc i düra San Vincenzo è il 22 gennaio e San Lorenzo il 10 Agosto.

L’uso di celebrare la fine dell’inverno, però, vigeva presso i Cenomani (in Valtenesi dal 200 a.c.) che dalla Gallia avevano importato l’uso di celebrare l’arrivo della Primavera. Questi si disponevano in gruppi vocianti attorno a falò accesi sulle cime dei colli in modo da comunicare di colle in colle, come l’uso gallico, e con urla e canti ne celebravano un loro rude baccanale.

L’uso di celebrare a Venere per le Calende di Marzo aveva festeggiamenti più ordinati, anche se alcuni autori attribuiscono solo ai Romani queste abitudini.

tratto da Note ed appunti di tradizioni e folklore gardesano

 

Articoli Correlati

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Dello stesso argomento

- Advertisment -

Ultime notizie

Ultimi Video