martedì, Aprile 16, 2024
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Il figlio dell’emiro ha un fisico minuto e nervoso. Due occhialoni formato parabrezza ne nascondono gli occhi scuri, né risulta facile vederlo, dicono qui in giro, a palpebre scoperte.

Mondiali di tiro a volo con il figlio dell’emiro

Il figlio dell’emiro ha un fisico minuto e nervoso. Due occhialoni formato parabrezza ne nascondono gli occhi scuri, né risulta facile vederlo, dicono qui in giro, a palpebre scoperte; non che sia suggerito – quel parare gli occhi – dal sole cocente, d’anticipata, agostana inclemenza che batte sulla verdissima conca del tiro; ma ciò scaturisce, si sussurra, da una difesa. Una maschera, per evitare fastidi. Il 25enne Mohammehd Al Maktoum, rampollo del sovrano del Dubai, spara come un tiratore di rango. Nel luglio 1999 si è classificato al quarto posto ai Campionati mondiali di tiro a volo – specialità double trap – a Tampere, in Finlandia, e dunque, dicono gli esperti è un atleta di interesse mondiale. E mondiale era la prova di ieri, al campo di tiro di Lonato. Mohammehd indossava il pettorale col numero 41, che non è stato foriero di particolari fortune, poichè si è rivelato, alla fine, un numerico presagio di quanto sarebbe avvenuto in classifica. Il principe-emiro si è infatti classificato al quarantesimo posto. Qualcosa, ieri, non doveva girare: i doppi Ufo che scarrocciano al grido di “pool” gli sono scivolati via con troppa facilità. Centocinquanta piattelli lanciati, 117 sbriciolati e annientati, con quel fumo rossiccio – rosso sangue liofilizzato – che produce una simpatica nuvoletta contro il verde intenso del campo. Sarà mai possibile scambiare due parole con questo ragazzotto che invece del camperino d’altri colleghi, che invece dell’aereo di linea è calato sulla pista nientemento che con un Boeing 747 privato, come un principe arcaico rinnnovato nella tecnologia, con il seguito della corte? Non riuscirete a parlargli, dicono alcuni tiratori. E’ di una riservatezza tanto serrata quanto di cordialità britannica, rapida e fuggitiva; la gentilezza dello sportivo che saluta lo sportivo, ma che non condivide i bivacchi successivi alla gara; del giovane uomo che ama l’automobilismo sportivo e che fugge via come un’auto di grossa cilindrata; del piccolo grande appassionato di pallavolo che spicca un salto di disimpegno verso la rete; del tiratore, soprattutto. Del tiratore, concentrato, silenzioso, che si sforza di trasformare il fucile nel naturale prolungamento del corpo. Superattivo, Mohammed. Un dinamismo tipico del Dubai, che è, ci si passi la comparazione, la Lumezzane degli Emirati Uniti, la Valgobbia della mezzaluna, con un reddito pro-capite di circa quattrocento milioni all’anno, solo che anzichè posate lì rotolano bidoni di petrolio, i quali alimentano, indirettamente, tante industrie, poste a trenta chilometri dalla capitale; quel Dubai che, negli anni Settanta, dimostrò volontà intensamente autonomistiche ma che contribuì successivamente alla vera fusione federale tra i diversi emirati. E’ naturale che un principe di venticinque anni sia invitato dall’eminente genitore al silenzio; nè del resto il principe Carlo d’Inghilterra, che ha un maggior carico di anni e d’esperienza, può parlare in tutta libertà. A Mohammed piace così sgusciare: abbandondare la scorta – uomini della sua età, olivastri e corpulenti com’è l’abbondanza araba – per sorbirsi da solo, dietro il sipario degli occhiali, una bibita o per discutere con il cugino, che è il suo principale avversario sportivo. Ieri il gruppetto di Mohammed si è rifocillato al bar con biscotti ricoperti di cioccolato e succo d’ananas. Quindi il principe è sparito, mentre i suoi giocavano col bigliardino. E’ riapparso improvvisamente verso le 16,30 con il fucile piegato in due sulla spalla, la maglia rossa e gli occhialoni dalle lenti iridescenti, senza che egli fosse particolarmente evidente; un atleta tra gli altri, semmai con un telefonino cellulare dotato di maggiori insistenze.. Ha raggiunto, mentre si disputavano le finali della prova mondiale dalla quale è stato escluso, un campo discosto, per l’allenamento. «Quel ragazzo spara bene – dice Bruno Rossetto, esperto di tiro – Notiamo generalmente una notevole crescita dei Paesi arabi. Loro utilizzano la nostra esperienza, usufruiscono della nostra tecnologia e sono ormai veri professionisti. Sparano ogni giorno. S’allenano. Sicuramente, in futuro, ci daranno filo da torcere». Anche Mohammed s’affida a fucili e a preparatori italiani, com’è italiano l’allenatore Marco Conti, tiratore a livello mondiale. Ma c’è nel principe, si dice, la volontà tutta araba di primeggiare nella gara di guerra, d’essere primo nella caccia.«E forse – sussurra qualcuno – questo è anche un limite. Il tiro a volo è soltanto un lontano parente dell’attività venatoria. Richiede doti di freddezza, estingue la passione per la preda, deve portare il sangue a temperature più basse. Questo è dimostrato dal fatto che la gara di oggi è stata vinta da un australiano il cui soprannome è “uomo di ghiaccio”». Arabi focosi? Chissà. E’ certo il fatto che l’investimento sul tiro è in notevole crescita nel mondo arabo. E in buona parte è attività nobile, attraverso la quale case regnanti e patriziato locale forniscono ulteriore fondamento alla propria preminenza sociale. «Mohammed – affermano al campo – tira molto meglio del sultano del Brunei, l’uomo dai rubinetti d’oro, il ricco regnante che si è fatto costruire nella reggia un campo di tiro conformato ai livelli qualitativi internazionali. L’approccio del figlio dell’emiro è più scientifico». Del resto, s’aggiunge – con il colpo d’ala dell’invidia – loro hanno tanto tempo a disposizione e, soprattutto, risorse infinite. Il tiratore che ieri indossava il pettorale numero quarantuno è figlio dell’uomo che occupa il terzo posto mondiale nella classifica della ricchezza. E’ certo un risultato anche questo, a ben vedere, ma Mohammed aspira, in altro campo, al primato assoluto delle pedane, sulle quali possa dimostrare d’essere artefice di se stesso. Diamo tempo al tempo.

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