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Incontro con don Virginio Rigoldi del carcere minorile di Milano

I «segreti » del cappellano per non perdere i giovani

«Date importanza alla normalità; è quest’ultima che deve assumere qualità». Don Virginio Rigoldi ha lanciato questo monito durante il suo intervento in una gremitissima aula magna della Scuola di polizia, dove in tanti sono accorsi per ascoltare la sua testimonianza. La serata, dedicata ai minori e organizzata dalle associazioni di volontariato dei comuni di Peschiera, Castelnuovo e Lazise con la presenza del responsabile dei servizi sociali dell’Asl 22 Antonio Bortoli, lo ha visto protagonista: il cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano ha parlato agli amministratori locali, agli operatori del sociale, ai volontari impegnati nei tanti gruppi del territorio, ai cittadini. Il tema «Sos minori» è attuale, scottante per i fatti di cronaca successi negli ultimi anni, presente anche nei comuni gardesani dove il benessere può nascondere il disagio e le devianze dei giovani anziché porre un rimedio. Don Gino non ha dubbi: ringrazia quanti sono attivi socialmente, quanti nel loro piccolo si impegnano per contrastare l’esclusione dei minori ma avverte i genitori e gli educatori di «dare grande attenzione alla normalità». Ad insegnare a Don Gino i tanti ragazzi che ha conosciuto in 30 anni spesi all’interno del Beccaria e nelle tante attività di solidarietà da lui stesso promosse. «La storia dei ragazzi che arrivano in carcere ci dice», ha raccontato il cappellano «che oggi più che in passato gli adolescenti sono meno conflittuali, più normali agli occhi di chi li conosce e di chi li educa. La loro vita segreta rimane però sconosciuta, soprattutto ai genitori, che si accontentano di sapere poche cose, di facciata, che non riguardano la vita intima». L’aggressione dei cattivi maestri, l’ha definita don Rigoldi, i modelli negativi e forti che i ragazzi conoscono e che non vengono letti da genitori «seduti e rassegnati». «Oggi», ha poi aggiunto «le droghe sono per il divertimento, il sesso è diventato un bene di consumo, tutte le cose alla moda sono necessarie, l’immagine è tutto e nasconde la verità. Tra i mille ragazzini che passano dal carcere ogni anno il 20 per cento è di nazionalità italiana e sono quelli che fanno più reati di violenza, con un salto di qualità del ceto sociale. Negli ultimi anni molti provengono da famiglie benestanti, molte sono le ragazze, alto è il loro livello di emancipazione e difficili sono le loro personalità». Come uscire allora dal guado? Cosa significa essere oggi dei buoni educatori? «L’attività dell’educatore non deve diventare acuta quando succede qualcosa di grave», ha spiegato don Gino «e tre sono le cose che bisogna saper far bene: dare delle responsabilità ai minori, farli misurare con i loro doveri e con l’impegno; farsi promotori di rapporti onesti e trasparenti eliminando il pregiudizio che le amicizie possano essere solo di reciproco consumo; dare ai giovani dei riferimenti etici, dei valori, perché non è vero che non li vogliono». Tanti quindi gli aneddoti raccontati, pochissimi e generici i riferimenti a quei ragazzi che abbiamo conosciuto sui giornali per l’efferatezza dei crimini da loro compiuti, molti i consigli che don Gino ha lasciato all’attenta platea. Uno su tutti: «Nell’educazione l’età a rischio è quella tra i 35 e i 60 anni, quando si diventa ingessati dalla routine. Fate della vostra vita una vita frizzante e positiva perché i giovani ne possano prendere esempio, date loro gli spazi perché possano dimostrare la loro creatività e perché la loro vita diventi un’impresa».

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