venerdì, Settembre 29, 2023
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Il lavarello domina sul carpione ma solo cotto ai ferri

Ormai da molti anni non è più il a sostenere l’e­cono­mia del­la pesca pro­fes­sion­ale sul . A garan­tire di che vivere agli ulti­mi pesca­tori pro­fes­sion­isti è una specie d’im­por­tazione: il , più noto come . Un pesce che ha carni bian­chissime, «per nul­la grasse, come anche quelle delle trote e dei car­pi­oni, facilis­si­ma­mente digeri­bili e qua­si prive di spine», come ha scrit­to l’it­ti­ol­o­go Enzo Oppi. Come lo si man­gia, il lavarel­lo? In mille modi. Le sue carni si prestano ad essere inter­pre­tate in svari­ate maniere. Sul­la riva bres­ciana viene addirit­tura orga­niz­za­ta un’in­tera rasseg­na ded­i­ca­ta al core­gone, con un tour nei ris­toran­ti del­la Valte­n­e­si. Tut­tavia la maniera clas­si­ca di cuci­narlo è ai fer­ri. Addirit­tura, sul lago c’è una scuo­la di pen­siero che asserisce cat­e­gori­ca­mente che il car­pi­one va lessato e il lavarel­lo cot­to ai fer­ri, asseg­nan­do così al core­gone pari dig­nità del­l’al­tro raris­si­mo e cel­e­bra­to salmonide bena­cense. Liv­io Parisi, che è tra i cul­tori del­la cuci­na garde­sana di pesce, arri­va a sostenere: «La vera morte del lavarel­lo, dicono i locali, sono le braci. E che dire? …che han­no per­fet­ta­mente ragione, a sen­tire il pro­fu­mo delizioso che emana dalle braci scop­pi­et­tan­ti». Ed è sem­pre il core­gone a con­tendere alla tro­ta salmona­ta, pesce d’al­l­e­va­men­to, il pri­mo pos­to sulle griglie delle trat­to­rie del­la riv­iera. Eppure il core­gone-lavarel­lo, s’è det­to, non è una specie indi­ge­na del Gar­da. Nel più grande dei laghi ital­iani venne immes­so per la pri­ma vol­ta nel 1918. Per essere esat­ti, la pri­ma sem­i­na di un mil­ione e 50 mila core­go­ni fu cura­ta dal­la Regia stazione di pis­ci­coltura nel feb­braio del 1918 nei golfi di Salò e Desen­zano. Altre sem­i­ne furono suc­ces­si­va­mente curate dal­lo Sta­bil­i­men­to ittio­geni­co di Peschiera. «Il pri­mo esem­plare», riferisce Flo­reste Malfer nel Bena­co del 1927, «fu rac­colto ago­niz­zante alla super­fi­cie il 20 feb­braio 1921». Il grande itti­ol­o­go scrive­va che «l’avvenire dirà quale pos­to saprà con­quis­tar­si questo salmonide nel­la famiglia itti­ca del Gar­da». Il pos­to con­quis­ta­to è oggi di asso­lu­to rilie­vo. Anche se, trat­tan­dosi d’un pesce immi­gra­to nelle acque garde­sane in anni rel­a­ti­va­mente recen­ti, non si potrebbe a rig­ore affer­mare che il lavarel­lo ai fer­ri cos­ti­tu­is­ca uno dei piat­ti tradizion­ali del lago. Ma il fenom­e­no lavarel­lo è tale da avere ormai seg­na­to la gas­trono­mia garde­sana, sia quel­la lega­ta alla ris­torazione, sia quel­la del­la quo­tid­i­an­ità casalin­ga. Chi se l’im­mag­inerebbe un Bena­co sen­za lavarel­li? Sem­mai qualche tim­o­re lo si è avu­to per via di certe improvvise carestie. Ci fu un peri­o­do, dopo gli anni Ses­san­ta, in cui si dovette assis­tere ad un forte decre­men­to delle cat­ture di core­go­ni. Poi la ripresa e anco­ra un impov­er­i­men­to, che ebbe a pro­trar­si sino agli inizi degli anni Novan­ta, quan­do il lavarel­lo tornò abbon­dante. Ivano Con­for­ti­ni, itti­ol­o­go del­la Provin­cia di Verona, ras­si­cu­ra i dub­biosi: «di pre­oc­cu­pante non c’è nul­la; è solo che i popo­la­men­ti sono sogget­ti per loro natu­ra a oscil­lazioni peri­odiche di den­sità. I gourmet pos­sono dormire son­ni tran­quil­li».

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