mercoledì, Settembre 11, 2024
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Il coregone venne importato nel 1918 e si è conquistato un posto d’onore

Il lavarello domina sul carpione ma solo cotto ai ferri

Ormai da molti anni non è più il carpione a sostenere l’economia della pesca professionale sul lago di Garda. A garantire di che vivere agli ultimi pescatori professionisti è una specie d’importazione: il coregone, più noto come lavarello. Un pesce che ha carni bianchissime, «per nulla grasse, come anche quelle delle trote e dei carpioni, facilissimamente digeribili e quasi prive di spine», come ha scritto l’ittiologo Enzo Oppi. Come lo si mangia, il lavarello? In mille modi. Le sue carni si prestano ad essere interpretate in svariate maniere. Sulla riva bresciana viene addirittura organizzata un’intera rassegna dedicata al coregone, con un tour nei ristoranti della Valtenesi. Tuttavia la maniera classica di cucinarlo è ai ferri. Addirittura, sul lago c’è una scuola di pensiero che asserisce categoricamente che il carpione va lessato e il lavarello cotto ai ferri, assegnando così al coregone pari dignità dell’altro rarissimo e celebrato salmonide benacense. Livio Parisi, che è tra i cultori della cucina gardesana di pesce, arriva a sostenere: «La vera morte del lavarello, dicono i locali, sono le braci. E che dire? …che hanno perfettamente ragione, a sentire il profumo delizioso che emana dalle braci scoppiettanti». Ed è sempre il coregone a contendere alla trota salmonata, pesce d’allevamento, il primo posto sulle griglie delle trattorie della riviera. Eppure il coregone-lavarello, s’è detto, non è una specie indigena del Garda. Nel più grande dei laghi italiani venne immesso per la prima volta nel 1918. Per essere esatti, la prima semina di un milione e 50 mila coregoni fu curata dalla Regia stazione di piscicoltura nel febbraio del 1918 nei golfi di Salò e Desenzano. Altre semine furono successivamente curate dallo Stabilimento ittiogenico di Peschiera. «Il primo esemplare», riferisce Floreste Malfer nel Benaco del 1927, «fu raccolto agonizzante alla superficie il 20 febbraio 1921». Il grande ittiologo scriveva che «l’avvenire dirà quale posto saprà conquistarsi questo salmonide nella famiglia ittica del Garda». Il posto conquistato è oggi di assoluto rilievo. Anche se, trattandosi d’un pesce immigrato nelle acque gardesane in anni relativamente recenti, non si potrebbe a rigore affermare che il lavarello ai ferri costituisca uno dei piatti tradizionali del lago. Ma il fenomeno lavarello è tale da avere ormai segnato la gastronomia gardesana, sia quella legata alla ristorazione, sia quella della quotidianità casalinga. Chi se l’immaginerebbe un Benaco senza lavarelli? Semmai qualche timore lo si è avuto per via di certe improvvise carestie. Ci fu un periodo, dopo gli anni Sessanta, in cui si dovette assistere ad un forte decremento delle catture di coregoni. Poi la ripresa e ancora un impoverimento, che ebbe a protrarsi sino agli inizi degli anni Novanta, quando il lavarello tornò abbondante. Ivano Confortini, ittiologo della Provincia di Verona, rassicura i dubbiosi: «di preoccupante non c’è nulla; è solo che i popolamenti sono soggetti per loro natura a oscillazioni periodiche di densità. I gourmet possono dormire sonni tranquilli».

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