Fra i miti di chi di anni ne ha anta e più, c’è un illustratore che ha fatto storia nel giornalismo italiano: Walter Molino. È morto nel 1997. Ha collaborato con L’Intrepido e con Il Monello, giornali a fumetti famosi. Per quasi trent’anni, dal 1941, Walter Molino ha dipinto le copertine della Domenica del Corriere, allora settimanale tra i più diffusi. Le sue copertine erano attese dai lettori, per vedere quali fossero i fatti di cronaca più curiosi o gli episodi più strabilianti occorsi in Italia come nelle più oscure lande del mondo. Alcune di quelle tavole, a tutta pagina, sono passate alla storia del costume. Altre sono cadute nell’oblio, come quella uscita sull’edizione del 29 luglio 1951. Allora, la Domenica costava trenta lire. Nelle pagine interne si faceva la pubblicità dell’orologio Avia, dei prodotti di bellezza Mascherina, della brillantina Tricofilina e della Colloidina Laleuf, «il tanto rinomato specifico contro la pinguedine». Quel giorno il settimanale uscì con l’immagine d’una donna in costume giallo soccorsa in acqua, nel canneto, spaurita, da due uomini. Quelle tratteggiate da Walter Molino erano le acque del Garda. E la donna era celebre: Vittoria Calvi di Bergolo, figlia della principessa Jolanda, di casa Savoia. Diceva la didascalia: «Drammatica avventura di una figlia di Jolanda Calvi di Bergolo. Sul lago di Garda, durante un violento temporale, la contessa Vittoria Calvi di Bergolo, che stava facendo una gita in cutter col marito conte Guglielmo Guarienti, si è gettata in acqua per raggiungere la riva ma si è trovata in gravi difficoltà a motivo di un denso canneto. Per fortuna due giovani ch’erano a terra, sono accorsi prontamente in suo aiuto, traendola in salvo». Dell’episodio che meritò l’onore della copertina ormai nessuno o quasi a Garda ricorda più nulla. Piacerebbe sapere chi fossero i due salvatori. Considerando oltretutto che lei era la contessa, la signora di punta San Vigilio. La nipote del re. Era davvero benvoluta dai gardesani, Vittoria Guarienti. Quando la malattia la portò con sé, nel marzo di ventun anni fa, il cordoglio fu grande. La gente del posto era colpita dalla sua riservatezza, ma ne aveva a cuore anche l’amabilità, ne ammirava il portamento. Il conte Guglielmo Guarienti l’aveva sposata nel 1947 ad Alessandria d’Egitto, dove lei viveva, dopo il referendum che aveva fatto dell’Italia una Repubblica, con i reali in esilio: era la nipote di Vittorio Emanuele III e di Umberto II. Dopo le nozze, s’era stabilita nella villa rinascimentale di San Vigilio, quella disegnata dal Sanmicheli. «Educata da un precettore tedesco alla disciplina di casa reale», scriveva L’Arena il 19 marzo del 1985, annunciandone la scomparsa, «la contessa Vittoria da molti anni si era chiusa in uno stretto riserbo, dedicandosi ai tre figli e ai nipoti. L’unico modo di incontrarla era andare a pranzo all’antica locanda di punta San Vigilio». Era lei che aveva infatti assunto le vesti della padrona di casa nel piccolo, esclusivo albergo affacciato sul porticciolo. Un albergo che accoglieva ospiti illustri, anche teste coronate. La sua presenza discreta bastava a scatenare la curiosità dei cronisti: la figlia d’una principessa che gestisce una locanda. Ma da lei, dopo il naufragio finito in copertina sulla Domenica del Corriere, nulla per il gossip, il riserbo più assoluto: niente interviste, niente pubblicità. Gran classe.
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L’unico scoop con la riservatissima Vittoria
La bella nipote del re naufraga nel canneto
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