Il casello degli Zambolo n. 108+828

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Di Redazione
Sergio Ganzerla

Se il casel­lo dei Leali era ad est del­la stazione di Desen­zano del Gar­da, a ovest, dopo il viadot­to, vi era quel­lo degli Zam­bo­lo. Ogni casel­lo ave­va un suo numero, ma tut­ti, da sem­pre, li denomi­na­vano dal­la famiglia che vi abita­va. Negli anni ’50 del­lo scor­so sec­o­lo i casel­li ave­vano anco­ra una fun­zione e i capo­famiglia un incar­i­co nelle Fer­rovie del­lo Sta­to, gen­eral­mente nel com­par­to del­la manuten­zione dei bina­ri e delle scarpate. Si sen­ti­vano fer­rovieri ed era­no orgogliosi di esser­lo; tra i dipen­den­ti di un trat­to di lin­ea si conosce­vano, più o meno diret­ta­mente, tut­ti, e soprat­tut­to sol­i­dariz­za­vano con gli operai del­l’Ar­ma­men­to.

Il casel­lo degli Zam­bo­lo (con­trasseg­na­to dal n° 108+828) era sta­to costru­ito su più piani pro­prio sul­la scarpa­ta del­la fer­rovia, con acces­so dal­la vec­chia stra­da di Lona­to. Anche se un po’ trasfor­ma­to è tut­to­ra abi­ta­to. Dopo il bom­bar­da­men­to del bel viadot­to asbur­gi­co ad archi ogi­vali del 15 luglio del 1944, con l’in­ter­ruzione del­la -Venezia, era sta­to uti­liz­za­to come stazione, con la posa in opera di alcu­ni tronchet­ti di bina­rio nel pic­co­lo pianoro adi­a­cente, dove alcu­ni car­ri mer­ci sosta­vano per oper­azioni di tras­bor­do not­turno su auto­car­ri. Da lì si stac­ca­va un uni­co bina­rio su per­cor­so alter­na­ti­vo, già pre­dis­pos­to durante la guer­ra 1915–1918 in pre­vi­sione del­l’even­tuale bom­bar­da­men­to del viadot­to, mai for­tu­nata­mente uti­liz­za­to, che scen­de­va ver­so le Grezze per­den­do grad­ual­mente quo­ta per poi risalire attra­ver­so la cam­pagna a sud del viadot­to con ril­e­vati e trincee. Sfio­ran­do la casci­na Mirabel­lo sali­va a con­giunger­si con la lin­ea Milano-Venezia pres­so la casci­na San Zeno, poco pri­ma del cimitero di Riv­oltel­la.

Negli anni del dopoguer­ra, ricostru­ito in cemen­to il nuo­vo viadot­to, e ripristi­na­ta la lin­ea nel 1947, venne sman­tel­la­to il rac­cor­do, di cui qualche trac­cia è anco­ra vis­i­bile, anche se le trincee sono state col­mate e le scarpate spi­anate. Il casel­lo era tenu­to molto bene, sia l’edificio gial­lo inten­so o aran­cione, tipi­co di quelle costruzioni, sia l’orto-giardino impianta­to nel­la spi­ana­ta dove c’er­a­no sta­ti i tronchi di bina­rio. Ave­va un can­cel­let­to che dava sopra la scarpa­ta, sul­la stra­da, allo­ra bian­ca, che por­ta da Desen­zano a Lona­to o vicev­er­sa, det­ta ‘la vec­chia stra­da di Lona­to’.  A metà di quel per­cor­so tra i due pae­si, vi era un’osteria-trattoria chia­ma­ta ‘La Passeg­gia­ta’ con alcu­ni ippocas­tani che davano ombra a un gio­co di boc­ce e a due tavoli­ni. Qui si ritrova­vano nel pomerig­gio fer­rovieri in pen­sione a gio­care a boc­ce o a carte, sorseg­gian­do del rosso. Alla domeni­ca sali­vano qui anche dei Desen­zane­si appun­to per fare una passeg­gia­ta. Era in quegli anni un luo­go di grande qui­ete e la cor­sa dei treni vicinis­si­mi dava alle­gria.

Poco pri­ma del fab­bri­ca­to dell’osteria vi era una roz­za casupo­la fat­ta di pris­mi con due pic­cole finestre sem­pre chiuse, che dice­vano abi­ta­ta da uno strav­a­gante, da una per­sona, un tem­po ric­ca e poi decadu­ta tan­to da dover­si riti­rar­si lì a vivere povera­mente. Qual­cosa di vero nelle chi­ac­chere c’era, per­ché qualche mese dopo la sua morte, dei van­dali ave­vano rot­to le finestre e den­tro si vede­va un piano nero a coda e per ter­ra ovunque degli spar­ti­ti rot­ti.

Ebbene il pri­mo edi­fi­cio dopo ‘La Passeg­gia­ta’, scen­den­do da Lona­to, sul­la destra, era pro­prio il Casel­lo degli Zam­bo­lo. Come tut­ti i casel­li dispone­va di ter­reno attorno, come si è det­to, molto cura­to e molto bel­lo. Accan­to alle aiuole dei radic­chi, di por­ri, di aglio, di salvia, di basil­i­co ave­va dalie dai col­ori vivaci: aran­cioni, bianche, rosse; inoltre vi era­no i set­tem­bri­ni, i crisan­te­mi che in otto­bre splen­de­vano con le corolle di diver­so col­ore. Non si vede­vano mai per­sone fuori casa ad armeg­gia­re, ma chi­unque fos­se sta­to l’ortolano-giardiniere, uomo o don­na, tene­va quel pic­co­lo pez­zo di ter­reno che neanche un pit­tore pae­sag­gista o l’Arcimboldo avrebbe potu­to dis­eg­nare in modo tan­to ammirev­ole.

In quegli anni ’50 anco­ra si rac­con­ta­va di come nel 1947 una loro bim­bet­ta di due anni, Margheri­ta, chia­ma­ta dal fratel­lo dall’altra parte del­la fer­rovia, attra­ver­san­do cor­ren­do la mas­s­ic­cia­ta, fos­se sta­ta ‘ urta­ta’ dal­la staffa cac­ciapi­etre del­la loco­mo­ti­va a vapore di un treno in cor­sa che scen­de­va ver­so Desen­zano. Il mac­chin­ista, fer­matosi alla vic­i­na stazione, era stra­volto dal­lo spaven­to, dall’ansia, dal rimor­so. Si calmò un po’ solo quan­do un operaio in bici­clet­ta arrivò a perdi­fi­a­to in stazione, avvisan­do che la bam­bi­na sta­va bene e, a parte qualche esco­ri­azione, non ave­va subito niente di grave. Quel pic­co­lo gia­rdi­no sem­bra­va un rendi­men­to di gra­zie a cielo aper­to per lo scam­pa­to peri­co­lo. Tutt’intorno le colline era­no ver­di e non si vede­vano molte costruzioni. Le poche, come la vil­la ‘La Ritrosa’, era­no nascoste dai tan­ti alberi che cir­con­da­vano il laghet­to Bago­da. Le mac­chine di pas­sag­gio era­no rare e poche le bici­clette, per­ché fare le due salite in suc­ces­sione del Monte Croce era fati­coso; al mas­si­mo proveni­vano da Lona­to, per­ché in disce­sa. Per questi ciclisti il casel­lo dice­va che era­no ormai vici­no al lago. Per chi era sul treno, pas­sato il casel­lo Zam­bo­lo, s’apriva il grande spet­ta­co­lo del­la piana del Bas­so Gar­da, del­lo spec­chio mutev­ole del Bena­co e del domes­ti­co crinale del Monte Bal­do.

Gian­car­lo Ganz­er­la

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