giovedì, Aprile 18, 2024
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Storia di Grazia Gaburro, vedova e lavapiatti. Ha vinto per due volte la gara locale in lingua e vernacolo

Poetessa a sessant’anni. Il paese le rende omaggio

Scoprirsi poeti a sessant’anni, con un lavoro da lavapiatti e in tasca appena la licenza di quinta elementare. Pare una favola, ma è successo. Protagonista è Grazia Gaburro, una con cui la vita non è stata prodiga di soddisfazioni. Ha cominciato a scrivere per vincere la disperazione: ha sorpreso tutti. Sin qui, ha dominato tutt’e tre le edizioni del concorso delle «Poesie al Muro» ideato dallo Studio per l’Arte. Forse avrebbe conquistato anche altre giurie coi suoi versi che sgorgano dalle nebbie del cuore. «La prima volta, quattro anni fa», ricorda, «scrissi su un pezzetto di carta che mi feci dare al bar Corrado, vicino a casa. La mia amica Marisa mi chiese se volevo fare la lista della spesa. Poi ha letto i miei versi e si è messa a piangere, nascondendo la faccia dietro al suo cagnolino per non farsi vedere. Era la Lettera per il paradiso ». Quelle parole erano dedicate al marito Romano Simonelli, scomparso una decina d’anni prima. «Ero rimasta sola con tre creature», dice Grazia, «e ho passato un periodo bruttissimo. Ma ci eravamo amati davvero. Non avevamo niente, ma bastava che fossimo insieme per essere felici». Ne sono uscite parole pregne di commozione. Roba da groppo alla gola. «La seconda poesia, Sogno e realtà , l’ho composta per Silvano, il mio secondo amore, andatosene anche lui troppo presto. Era stato amore anche quello», racconta. Col nuovo componimento ha sbaragliato l’edizione 2002 delle Poesie al Muro. Quell’anno ha vinto anche la sezione in italiano con Malinconia , anche questa dedicata a Silvano. Poi sono venuti Avrei voluto e Vado al lago , sempre in lingua, e La luna de la Serena , in vernacolo, per la titolare dell’albergo dove lavora. La scorsa estate il Comune di Garda le ha assegnato un premio speciale: ormai è come il Binda degli anni d’oro del ciclismo, talmente forte da essere premiato purché non partecipi al Giro d’Italia. «Non me l’aspettavo», confessa lei, «che le mie poesie piacessero così. Le scrivo di getto, sul primo pezzo di carta che mi capita. Ci metto l’anima. Mi aiutano ad esprimere quello che provo. Non mi interessano i premi. La soddisfazione è che adesso gli altri mi capiscono. Così sto meglio, sto bene. Non è stato facile in passato. Mio padre è morto a 37 anni. Eravamo quattro fratelli e io ero la più piccola. Abitavamo sotto una cantina ai Canevini. Poi la vita è stata tutta in salita». Adesso c’è la compagnia della poesia. «E di Whawha», aggiunge lei. Whawha è un gatto. Anzi, un gatto enorme: 17 chili, un colosso. «Me lo portò a casa mio figlio Leonardo. Siccome allora era milanista, voleva chiamarlo Weah, come il giocatore. Meno male che non l’ha fatto, perché poi è diventato juventino. Anche il gatto è bianco e nero, come la Juventus. Quand’è arrivato sarà pesato un etto e mezzo. Poi ha cominciato a mangiare e a ingrossarsi. Adesso vengono a vederlo da tutto il paese». Il gatto, la poesia, conforti d’una vita rinata a 60 anni. «62: 16 settembre del 1942, segno della Vergine», ci corregge.

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