lunedì, Aprile 29, 2024
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Un antico contratto di grande interesse per gli studiosi di storia e lingua longobarda.

I Longobardi a Lonato

Nell’Archivio Storico del Comune di Lonato è conservata la pergamena con segnatura n. 337 che è un contratto originale di compravendita di una biolca di terra sita: “in curte Malochi in contrata qui dicitur in valle Foclini”, redatto dal notaio Benvenuto di Castiglione in data 14 gennaio 1260 fra il venditore Turrellus figlio del fu Dansmano di Castiglione il quale dichiara “di professare e vivere secondo la legge longobarda” e vende una biolca di terra arativa sita in “curtis Malochi” e precisamente “in contrata di valle Fochino” al prezzo di soldi imperiali 17 pagati dall’acquirente Castiono figlio di Guidradi anch’egli di Castiglione.

Questa Carta Lonatese è di grande interesse per gli studiosi di storia e lingua longobarda.

Essa dimostra quanto a lungo si è conservata presso la popolazione locale la civiltà e il modo di vivere dei Longobardi che ufficialmente cessarono la loro dominazione con la vittoria dei Franchi e l’incoronazione di Carlo Magno a imperatore del Sacro Romano Impero dal papa Leone III, celebrata in San Pietro la famosa notte di Natale del 800.

Il prezioso documento lonatese dimostra che ancora dopo ben quattro secoli la loro civiltà era ancora ben radicata presso le nostre popolazioni.

L’uso della lingua dei Longobardi (popolo che invase l’Italia nel 568) declinò rapidamente a partire dal VII secolo poiché gli invasori adottarono rapidamente il volgare neolatino parlato dalle popolazioni locali, come comprova l’Editto del loro re Rotari del 643 – che pure era promulgato per i soli Longobardi – il quale fu composto in latino, anche se esso contiene numerose parole longobarde in forma più o meno latinizzata. Le ultime attestazioni dell’uso della lingua longobarda sembrano giungere non oltre l’anno mille, anche se per molti storici essa si estinse tra l’VIII e IX secolo.

Il venditore Turrellus dichiara di vivere professando la legge longobarda cioè di seguire pubblicamente le leggi di Rotari quattro secoli dopo che il regno longobardo non esisteva più.

L’atto notarile precisa che la biolca di terra venduta si trovava nelle corte di Malocco, in contrada Fochini. Già questi soli termini ci portano ad alcune considerazioni. In primo luogo va ricordato che i Longobardi non fecero una occupazione totale dei territori conquistati, ma si stanziarono solo in alcune località mediante quelle unità politico-militari che essi chiamavano “fare”, strutture organizzate della piccola proprietà terriera, quelle che nei secoli successivi dell’alto Medioevo ripresero il termine latino “corte”, spazio chiuso che comprendeva il complesso di terre con case e poderi costituenti un’unità economicamente chiusa e autonoma, divisa in “contrate”: riprendendo cioè il “sistema curtense” di origine romana. Anche il termine “biolca” deriva dal latino “bubulcus” che era l’estensione di terra pari al tratto che il bifolco poteva arare in un giorno con un paio di buoi.

Numerosi toponimi longobardi, in lingua originale o latinizzata, si trovano a Lonato ancora ai giorni nostri, specialmente nelle zone di Esenta e Venzago, ma anche fra Lonato e Calcinato come ci ricorda la ben nota chiesa di Sant’Anna di Gazzo. Gazzo infatti era chiamato dai Longobardi il terreno a bosco o al altre coltivazioni, ad uso collettivo.

Intorno a Castelvenzago sono numerose le terre chiamate “brede” cioè campi suburbani. Numerose sono ancora oggi le “corti”, oltre quella di Malocco, citata nel contratto sopracitato: abbiamo le corti di San Rocco e corte Bettina nel Venzago  e la corte Ferrarini vicina alla località Fornaci dei Gorghi. La strada che da Esenta porta al cimitero, chiamata “via Staffolo” conserva il raro toponimo longobardo: “staffilo” cioè “palo di confine”.

Sarebbe altrettanto interessante la ricerca dei vocaboli longobardi che sono sopravvissuti  nel dialetto lonatese.

Certamente è molto difficile inquadrare il longobardo in modo rigoroso poiché questa lingua si colloca a cavallo di due gruppi etnici, quello germanico, agli inizi della loro occupazione italiana e quello di antica origine latina che, dopo il loro stanziamento in Italia, col quale ebbe in seguito stretti contatti, tanto che è difficile distinguere gli elementi realmente longobardi da quelli acquisiti da altre popolazioni.

Non è possibile chiudere l’argomento dei Longobardi senza ricordare la tomba del “casindo” o “gasindo” Ansualdo del quale fu rinvenuta la tomba nell’antico cimitero della Pieve di San Zeno, già citata nel numero di maggio di quest’anno di Gn.

Che un uomo di famiglia di re Agilulfo (591 – 615)  (che sottomise quasi tutta l’Italia) sia stato presso le numerose “fare” del territorio lonatese e abbia voluto avere sepoltura nell’antica Pieve non è poi un fatto che può stupire.

Egli si raccomanda alle preghiere dei suoi compatrioti e il suo sepolcro fu trovato nel cimitero dell’antica Pieve lonatese, dedicata anche al suo secondo Santo Protettore, San Giovanni Battista, del quale erano particolarmente devoti pure i Longobardi.

Studi recenti hanno dimostrato che la data incisa sulla tomba, il 12 aprile 614, non è falsa poiché la datazione con riferimento all’era cristiana fu introdotta dal monaco sciita Dionigi il Piccolo (496 – 553) vissuto pertanto almeno un secolo prima, il quale fissò la data di nascita di Gesù il 25 dicembre 754 di Roma.

Nell’immagine: Qui lege longobarda vivere professus fuit. Traduzione: “Il quale dichiara di vivere secondo la legge longobarda”.

(Lino Lucchini)

 

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