sabato, Aprile 20, 2024
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Interpretazione controcorrente per un mistero che dai primi Anni Novanta accende confronti e genera intriganti (e inquietanti) interrogativi

C’è una pistaper scoprirei killer di Ötzi

Sono passati 16 anni dal giorno del ritrovamento dell’Uomo dei ghiacci, Ötzi, la mummia emersa il 19 settembre 1991 a oltre 3000 metri di quota sul ghiacciaio del Similaun in Alta Val di Senales, al confine tra Italia e Austria, e ora esposta al museo di Bolzano. Quell’antico pastore-cacciatore, armato con selci della Lessinia, fu ucciso da una freccia, ma dopo 16 anni ancora non si trova nessun movente per quel delitto e pochissimi sono gli indizi. A tenere aperte le indagini sull’omicidio più antico è Domenico Nisi, l’«archeologo del Monte Baldo», così chiamato per le ricerche compiute sul massiccio veronese da quando era direttore del museo civico di Caprino (ora collabora con il museo tridentino di scienze naturali).Radiografie e analisi cliniche hanno permesso di stabilire che Ötzi morì a causa di una freccia che lo colpì sotto la spalla sinistra. Chi uccise Ötzi e perché? Per anni sono state condotte ricerche mediche sulla mummia e non mancano le polemiche sulla conduzione delle indagini. Ad alzare il tiro contro chi sino a oggi ha gestito, e continua a gestire, il fenomeno Ötzi, diventato un business turistico per la città di Bolzano, è proprio Nisi. «La mummia del Similaun», protesta il ricercatore, già noto per la sua fama di irregolare rispetto al mondio accademico, «deve essere studiata in tutti gli aspetti del caso. Chi coordina le ricerche deve avere la capacità culturale di un archeologo ma anche di un ispettore di polizia che, cerca a tutto campo indizi per formulare ipotesi, che vanno poi confermate attraverso indagini a largo raggio».Queste considerazioni nascono dall’esperienza diretta di Nisi, nata e affinatasi sul Monte Baldo. «Dal 1992», prosegue Nisi, «attraverso esplorazioni sul territorio italiano e austriaco ho elaborato un’interpretazione del caso Ötzi diversa dalla versione ufficiale. Assieme a un’équipe italiana in ricognizione sul territorio della Val Senales, ho potuto scoprire le tracce di bivacchi di cacciatori mesolitici sull’itinerario che successivamente i pastori della fine del Neolitico, inizio dell’Età del Rame, hanno percorso nelle loro transumanze, esattamente come ancora oggi i pastori della Val Venosta-Val Senales fanno in primavera e a fine estate. Ebbene, quel percorso passa là dove hanno trovato la mummia dei ghiacci, essendo il transito naturale per scendere in quelle praterie che oggi sono in Austria. I cacciatori mesolitici inseguivano stambecchi e camosci, i pastori neolitici e dell’Età del Rame portavano a pascolare in quota pecore e capre che per istinto seguivano le piste di chi li aveva preceduti». Un fenomeno analogo a quanto accadeva sul versante orientale del Baldo laddove, negli anni Settanta e Ottanta, lo stesso Nisi aveva studiato e documentato una pista di cacciatori preistorici. «Ancora oggi in Sardegna e in altre parti del mondo dove si pratica la pastorizia», spiega ancora lo studioso, «un reato diffuso e comune è l’abigeato, il furto di bestiame; scavalcare i confini territoriali, in quel contesto, porta spesso all’omicidio. Questo è ciò che può essere successo sul Similaun».

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