giovedì, Aprile 25, 2024
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Il presidente, in visita a San Martino e a Solferino, ha richiamato la necessità di recuperare il senso perduto della storia. V

Ciampi, andare alle radici dell’unità d’Italia

Una forte attesa. Il ministro Martino non dirà niente, preannunciano i romani, né v’aspettate che Ciampi si lasci andare a qualche dichiarazione sull’impegno italiano nella guerra. Martino, percorrendo il viale di ghiaia che dall’ossarrio porta alla sommità del colle, sussurra imbarazzato: «No comment. Nel pomeriggio diffonderemo un comunicato ufficiale». In un angolo, un tranquillo gruppo dei Social forum di Brescia e del Garda – sotto un cipresso la cui cima fu mozzata il 24 giugno 1859 da un colpo di cannone – sta in silenzio, alzando i fogli sui quali sta scritto «No alla guerra». Attorno i labari delle associazioni di ex combattenti, genitori con i figli, gente che grida ancora «Viva l’Italia», decine di militari in alta uniforme – tra cui Bellini, il pilota della guerra del Golfo – sui cui petti tinniscono stormi di medaglie. L’azione è concertata perfettamente dal protocollo. Nessuno parlerà di guerre vicine. Nessuno, durante la camminata sul viale, dovrà precedere Ciampi. Il presidente è giunto a San Martino per mostrare le radici più profonde dell’unità italiana, per cercare di sottolineare la base genetica di una nazione che ha educato se stessa a una scarsa autostima. Parlerà di Risorgimento come di una guerra di liberazione caratterizzata da una forte presenza di volontari-intellettuali. Richiamerà la necessità di recupero del tricolore, rimuovendo l’imbarazzo che sta nel sentirsi uniti, nelle infinite sfumature di una diversità che arricchisce. Menzionerà quella tensione europeista, che circolava già a quei tempi con istanze internazionali di libertà, dalla Polonia all’Ungheria fino agli Stati d’Italia, figli delle frammentazioni delle Signorie e mantenuti sostanzialmente separati dalle dominazioni straniere. Tra i molti parlamentari presenti si nota l’assenza di quelli della Lega. Nessun fazzoletto verde per Ciampi. La Lancia del presidente imbocca il viale dei cipressi di San Martino alle 11,55. Il sole è schietto, l’aria è dominata dall’odore umido e citrino degli alberi. La folla è consegnata al di là della recinzione della zona monumentale, mentre l’area dell’ossario è raggiungibile soltanto dalle numerose autorità civili, militari e religiose. La chiesetta rilascia tra i marmi il tepore ocra dell’intonaco. Un plotone di artiglieri di contraerea del Quarto reggimento missili di Mantova presenta le armi al presidente, la tromba imposta il «Silenzio», due corrazzieri guidano una corona d’alloro fitta di sfere argentee nel cuore oscuro dell’ossario. Su una lapide sta scritto: «Giovanni Balletti (…) Cadeva. Oh lungo martirio sofferto a diciott’anni per la libertà della patria». Il presidente si ferma in raccoglimento. Fissa i crani, le tibie, gli omeri impilati al di là della rete dell’ossario, quell’ordinato caos nel quale la storia ha spento ogni individualità per raccontare il dramma corale di una generazione. Ciampi percorre la salita per dirigersi verso la torre. Si ferma brevemente davanti ai cippi e ai monumenti che ricordano l’impegno e il sacrificio delle diverse Armi. Ascolta l’inno italiano suonato dalla banda dell’esercito, passa in rassegna la bandiera e il plotone dei granatieri di Sardegna che vestono l’uniforme storica – sul capo portano un monumentale colbacco di pelliccia scura, sormontato dalla croce sabauda – stringe la mano ai combattenti della seconda guerra mondiale, e, quando entra nell’area monumentale, all’ombra della torre, abbandona il centro della strada per camminare a filo delle siepi, al di là delle quali è sistemata la folla. Sorride, stringe ancora mani, fa strisciare la sua giacca blu contro la siepe alzando un intenso profumo d’alloro, si ferma davanti a bambini timidi, ne accarezza i volti sussurrando «Ciao, giovanotto». La gente dice: «Grazie presidente, viva l’Italia» e s’alza un’aria d’altro tempo, come un vento deamicisiano di piccole vedette lombarde, privo di vergogna pur negli anni cinici dell’antieroismo e delle revisioni antirisorgimentali, un’aria che scorre tra i baffi dei sessantenni e i sorrisi dei ragazzi del Liceo Bagatta, tra gli occhi che scintillano delle bambine. È gente diversa dal pubblico che, in altri luoghi, ma con lo stesso entusiasmo, accoglie gli esclusi del «Grande fratello» all’uscita dal vetrino televisivo. Ciampi firma una pergamena che ricorderà la sua visita, come avvenne con Vittorio Emanuele II e ascolta l’indirizzo di saluto di Fausto Fondrieschi, presidente della Fondazione Solferino-San Martino, che parla dell’orgoglio d’essere italiani e dell’atto di fondazione dell’Italia, suggellato su questo colle arioso. Il presidente lascia San Martino poco prima delle 13, abbracciando il sindaco di Desenzano, Felice Anelli. L’auto del presidente è in fondo al viale, quando il generale Alberto Ficucello, Comandante delle forze di terra, dichiara brevemente: «Siamo soldati. Siamo pronti a partire».

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