mercoledì, Luglio 2, 2025
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Avrebbe dovuto farle celebrare il Comune dal 1964 ad oggi, ma si è dimenticato

Messe non pagate: la Curia vuole un miliardo

Fortuna vuole che Cesare Malossini, sindaco di Riva, sia un tipo imperturbabile. Altrimenti gli sarebbe come minimo rimasto sullo stomaco l’ottimo pranzo servito a Castel Toblino, lo scorso giugno, in occasione della firma, tra Arcidiocesi di Trento e Provincia, della cosiddetta «intesa sui beni di culto». Si era ormai al caffè quando il vescovo monsignor Luigi Bressan, tanto gentilmente quanto informalmente, presentava al primo cittadino di Riva, un «conto» che non poteva essere quello del banchetto ufficiale: 984 milioni, lira più lira meno.In effetti non era la spesa del pranzo, ma quella di un numero strabiliante di Sante Messe (per l’esattezza 64.972), che il Comune di Riva, secondo i calcoli della Curia, avrebbe dovuto «far celebrare» (con esborso di 15 mila lire l’una: secondo una media ponderata tra vecchi e nuovi tariffari) nella Chiesa dell’Inviolata dal 1964 al 2000. Non avendo provveduto, al vescovo risultava, calcolatrice alla mano, che il Comune era debitore nei confronti della chiesa di una somma vicinissima…al miliardo.Ma perchè? Siccome la nota di Bressan, presentata in tutta cordialità, era un garbato invito a sanare in qualche modo lo sbilancio e non una minaccia, Malossini, sorbito l’espresso sui dolcissimi scenari lacustri di Toblino, metteva in borsa la lettera del vescovo e assicurava il suo interessamento, non senza obiettare che, almeno a naso, quel valigione di soldi che venivano reclamati, per via di antichissimi obblighi legati al possesso municipale del convento dell’Inviolata, gli pareva caduto in prescrizione.Calma e gesso: si era detto tra sè e sè il primo cittadino. E infatti, approdato nel suo studio in Municipio, anzichè scatenare un «caso», aveva subito deciso di procedere con i piedi di piombo. Tenendo segretissima la lettera di Bressan e incaricando nel contempo un legale di studiare per benino il caso del debito di…funzioni religiose.E’ proprio l’estrema cautela con la quale Malossini ha gestito la faccenda (anche oggi il sindaco si rifiuta di dire una parola sull’argomento), che ha fatto sì che la notizia trapelasse goccia a goccia e che solo oggi (quando peraltro sembra profilarsi la possibilità di un accordo amichevole tra Comune e Arcidiocesi) si sia in grado di ricostruire la vicenda con sufficiente chiarezza.A partire dal debito di Messe, che sarebbe un’eredità che il Comune si trova tra capo e collo…per colpa di Napoleone. Fu infatti nella breve stagione che Riva fu di dominio del Bonaparte, all’inizio dell’Ottocento, che il convento dell’Inviolata (come molti altri beni del clero in tutto l’impero) venne requisito e consegnato alla municipalità. Ma fu anche in quel periodo che i preti riuscirono almeno ad assicurarsi che in cambio della cessione avrebbero avuto dalle pubbliche amministrazioni future un congruo numero di «Messe da celebrare», con obolo annesso. Era una specie di utile «canone d’affitto», ma anche un modo doveroso, per il clero, di onorare la memoria di tutti i benefattori del convento, che, secondo la moda dell’epoca, erano stati sì di manica larga, ma avevano anche voluto (appunto con le funzioni religiose a loro dedicate) garantirsi una vita extraterrena più lieve di quello che forse si sarebbero meritati. Oneri per le anime, dunque. Oneri diventati poi «missari» (nel linguaggio dei rapporti Stato-Chiesa) e trasferiti dalle carte napoleoniche ai severissimi libri tavolari di Cecco Beppe. E mai cancellati.Di questi oneri, probabilmente onorati puntualmente dal Comune solo fino a quando l’Inviolata e il convento furono molto attivi (si trattava di celebrare circa 4 messe al giorno), si ritornò a parlare nel 1972, quando la Curia, in via giudiziale, riuscì a far sì che venissero conservati anche in presenza di un famoso accordo con il Comune, che si era finalmente deciso a restituire la chiesa dell’Inviolata (ma non il convento).Ma nel frattempo le Messe non erano più state pagate. Sicuramente dal 1964, come abbiamo visto. La negligenza del Comune, come abbiamo visto, è stata però «scoperta» la scorsa estate. Scoperta è la parola giusta. La Curia deve aver saputo di questa storia da sempre, ma ha fatto finta di niente fino a quando (ed è la novità) dev’essere balenata l’idea di riprendersi il convento (ora praticamente disabitato, fatta eccezione per qualche attività associazionista cattolica) per trasformarlo in un Centro Studi Ecclesiastici. A questo punto il debito delle Messe è diventato una bella freccia nell’arco del vescovo per concordare con il Comune la riacquisizione del Convento dopo quasi due secoli. Un bonus da 984 milioni!E il Comune? Calma e gesso, si era detto Malossini. E lo slogan rimane inalterato anche adesso che il consulente legale pare abbia dimostrato che la cancellazione degli oneri è ancora possibile. E che comunque, per avere il miliardo, il vescovo dovrebbe sudare…sette piviali. No alla guerra con Bressan, dunque; ma no anche ad una disonorevole ritirata. L’ipotesi più plausibile (a cui si sta lavorando nel riserbo) è quella di un progetto concordato per sanare il Convento, una bella spartizione dello stabile tra Comune e Curia (un piano per ciascuno?) e il De Profundis della storia delle Messe. Tanto ormai anche i vecchi benefattori si saranno ben meritati la fuga dal Purgatorio!

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