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Ora c’è da ciottolare anche per il gluckista

NEOLOGISMI SUL LAGO

Ciottolando è una novità lessicale, che fa ingresso nel linguaggio delle riviere gardesane. È stata ideata per la manifestazione gastronomica in programma domenica a Malcesine: «Ciottolando con gusto». Indica il camminare fra i viottoli acciottolati della cittadina dell’Alto Garda, mangiando un piatto locale e bevendo un bicchiere di vino. Se funziona l’evento, può essere che la parola si radichi. Che in riva al Garda affiorino innovazioni linguistiche non è raro. Fra le più recenti, è curiosa la voce gluckista. Niente a che vedere col compositore tedesco Christoph Willibald Gluck e nemmeno col «Ragazzo della via Gluck», la canzone di Adriano Celentano, che pure ha un autore gardesano, il paroliere Luciano Beretta. No: gluckista è un termine ironicamente inventato per indicare il dolce far niente degli albergatori fuori dalla stagione turistica. La massima occupazione di costoro, dopo il tour de force estivo, sarebbe tirar sassi nel lago. Il sasso, cadendo in acqua, fa un suono inconfondibile: gluck! Ecco, il gluckista è chi non ha nulla di più importante da fare che gettar ciottoli fra le onde. Malelingue. Tra l’ironico e lo spregiativo è anche la parola màgnamóre. Indica il pendolare domenicale, che arriva portandosi dietro tutto quel che gli serve. Senza quindi lasciare neppure un centesimo nelle tasche dei bottegai locali. Anzi: se ce la fa, rubacchia i frutti nei giardini, nei prati, nei campi. Rimpinzandosi perfino delle more maturate sui rovi. Un màgna-móre, un mangia-more, insomma. A proposito di mangiare: i sanvigilìni appartengono al mito gastronomico gardesano. Sono dolcetti di pastafrolla con l’uva passa. Si trovano a Garda in tutte le pasticcerie e in molti ristoranti, pizzerie, bar, serviti col caffè. Eppure è un nome che ha appena mezzo secolo. Venne ideato, insieme col pasticcino, a punta San Vigilio, quando ci arrivò in vacanza, subito dopo la guerra, sir Winston Churchill. Il gestore della Locanda, Leonard Walsh, suddito di Sua Maestà britannica, volle preparare dei biscotti da tè secondo lo stile londinese. Ne elaborò la ricetta e il nome, scrivendo una pagina di storia culinaria. La dindàna è un attrezzo da pesca: un lunghissimo cavo con attaccate più file di ami. Serve per catturare trote e carpioni, ma spesso abboccano solo i cavedani. Il cavo è legato a un campanello, che fa dìn-dìn quando c’è la preda: dal suono deriva l’appellativo. Ha un preciso anno di nascita, il 1850, quando un certo Ercole, che lavorava dai conti degli Albertini, insegnò ai gardesani l’uso della dirlindàna, che aveva portato con sé dal lago di Como. A Garda si cambiò solo, accorciandolo, il nome. Gardense è il vocabolo proposto nel 1987 da Pino Crescini per sostituire il termine «gardesano» quando ci si vuol riferire non al lago, bensì all’abitante di Garda. Ma l’ipotesi non ha avuto corso. Così come poco successo ha ottenuto il gardese, una moneta-medaglia fatta coniare una quarantina d’anni fa dalla Comunità del Garda: c’erano impressi sopra gli stemmi dei Comuni rivieraschi.

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