lunedì, Aprile 29, 2024
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In visita alla comunità Exodus, ritorna su Desirè

Don Mazzi: «Ai giovani un’alternativa al carcere»

È stata una giornata di festa quella di venerdì 22 novembre per la comunità Exodus a Sedena di Lonato, per la visita di don Antonio Mazzi. La sua figura occupa infatti un posto di rilievo nell’associazione Exodus, essendo promotore di incontri di gruppi giovanili, comunità locali e parrocchie. Il «don» (come lo chiamano affettuosamente i ragazzi), giunto in mattinata, dopo un caloroso abbraccio ai ragazzi della comunità e un’ispezione alla struttura, è ripartito subito dopo il pranzo non senza aver rilasciato poche ma significative dichiarazioni. Don Mazzi, un rapido commento sulla vicenda di Leno e sulle successive polemiche che l’ hanno in parte coinvolto. «La mia intenzione era semplicemente quella di far riflettere i giovani, ma mi sono subito fermato, perché ho visto che la cosa non è stata capita. Io non voglio essere frainteso, qualcuno mi ha addirittura accusato di volermi fare propaganda!» E il problema del perdono? «La questione non è sul perdono, ma di trovare rimedi alternativi al carcere. Sono fermamente convinto che chi ha sbagliato debba pagare, e anche i minori devono scontare la pena, ma non in carcere. Da molto tempo io sostengo che esistono forme alternative alla galera, come ad esempio la famosa «messa in prova». E allora usiamole queste forme! Non siamo più nel medioevo. La nostra società culturalmente avanzata dovrebbe mostrarsi al passo coi tempi anche sotto questo punto di vista. Qualche giornalista ha a mio parere equivocato con malafede le mie intenzioni, non so a quale scopo, creando disagio soprattutto nei giovani.» Veniamo alle comunità. La loro diffusione sul territorio appare in crescita? «Da tempo ormai non lavoriamo più con le vecchie comunità, ma con strutture nuove in grado di andare incontro ai ragazzi, che vengono dalle nuove storie di droga. Purtroppo sono sempre di più gli adolescenti «normali» che vengono a contatto con nuove sostanze (come l’ecstasy) e non solo in discoteca. Un ragazzo può tenersi tranquillamente in tasca cinque o sei pasticche, venderne quattro e tenersi le altre due per sé, senza neanche bisogno di andare a delinquere. Ritengo che questo sia il pericolo maggiore per i prossimi anni. Il nostro compito è quello di insegnare ai ragazzi come divertirsi. Abbiamo in tutto una quarantina di strutture (fra queste, la Casa di Beniamino sul lago di Garda e la Casa della Musica nei pressi di Roma) il cui obiettivo è quello di coinvolgere il mondo giovanile proponendo varie attività (sport, musica, teatro)». Ritiene che tutto questo impegno stia dando risultati positivi? «Per quanto riguarda i risultati delle vecchie comunità, la percentuale di persone salvate dalla droga si aggira intorno ad un terzo. Ora, lavorando sulla prevenzione e sulla comunicazione, speriamo di poter raggiungere traguardi ancora migliori. Il problema è quello di intervenire presto, non quando non c’è più nulla da fare. Ed è importante anche l’informazione.» Quali sono, per lei, le ragioni profonde del disagio giovanile? «Credo sia dovuto principalmente a quella che io chiamo «presenza debole» dei genitori. Oggi i genitori sono forse più presenti rispetto a ieri, ma sono presenze insignificanti, magari stanno in casa ma non vogliono essere disturbati, presi come sono dal loro lavoro. È soprattutto carente la figura paterna. A lungo andare queste situazioni hanno creato nei giovani una condizione di estrema fragilità, che può portare alla droga ma non solo. Il disagio ha infatti molte facce: depressione, anoressia, alcolismo. Anche la scuola deve assumersi le sue responsabilità. Al di là delle riforme di un Berlinguer o di una Moratti, è la presenza degli insegnanti nella scuola che deve mutare. Oggi i ragazzi stanno a scuola molto più che rispetto al passato. In media, dai sei fino ai diciannove anni (e per chi prosegue con l’università anche oltre), i ragazzi passano tutti i giorni a scuola quattro o cinque ore. È per questo che la funzione dell’insegnane deve essere ripensata, in accordo con questi cambiamenti. Scuola e famiglia devono lavorare insieme nel processo di crescita dei giovani. E anche l’università deve collocarsi in questa nuova prospettiva, preparando insegnanti che siano anche e soprattutto educatori.» Don Mazzi deve ripartire: questa volta la meta è la Toscana, dove lo attendono nuovi impegni, nuovi progetti, nuove battaglie.

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