venerdì, Dicembre 8, 2023
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Fava scrive al presidente ceco Havel

Efrem Fava com­in­cia la sua let­tera al pres­i­dente Hav­el ricor­dan­do come nel viag­gio ver­so Pra­ga stesse appun­to leggen­do ne «Il potere dei sen­za potere» scrit­to dal­lo stes­so pres­i­dente Hav­el che è nec­es­saria «una ricostruzione morale del­la soci­età, il «rin­no­va­men­to rad­i­cale del rap­por­to aut­en­ti­co del­l’uo­mo con l’or­dine umano» che non può essere sos­ti­tu­ito da nes­sun ordine politi­co. Poi è suc­ces­so l’in­cred­i­bile «siamo rimasti ricat­tati e tenu­ti in ostag­gio, gelati, stanchi, affamati, asse­tati, sen­za servizi igien­i­ci per diciot­to ore finché i quat­tro non gra­di­ti (che la polizia non rius­ci­va ad iden­ti­fi­care e snidare, ndr) non si sono spon­tanea­mente con­seg­nati per evitare ulte­ri­ori dis­a­gi agli altri passeg­geri». Fava non ha conosci­u­to né la dit­tatu­ra stal­in­ista né quel­la fascista e nazista: «Non mi era mai accadu­to, in nes­sun paese del mon­do, di essere trat­ta­to in quel modo. Mi sono chiesto come fos­se pos­si­bile questo in un Paese di recente ricon­quis­ta­to alla democrazia ed alla lib­ertà, con un Pres­i­dente di tale lev­atu­ra morale, che ha per­sonal­mente sub­ì­to carcere e per­se­cuzioni per i suoi alti sen­ti­men­ti di gius­tizia e di lib­ertà». Poi Fava s’è ricorda­to di un para­grafo del Castel­lo di Kaf­ka, dove si dice che lì, in quelle terre, la pri­mav­era è breve, bre­vis­si­ma. «Ho pen­sato quan­to fu breve la pri­mav­era del 1968 quan­do tut­ti noi esul­tam­mo per le sper­anze che desta­va il social­is­mo dal volto umano di Alek­san­dr Dubc’ek e quan­do siamo mor­ti nel cuore alla notizia dei car­ri armati sul­la Vaclavsk’ e Man’esti. Ho pen­sato che anche la pri­mav­era del 1990 è sta­ta breve, quan­do ho vis­to tut­ti i più bei palazzi di Pra­ga ven­du­ti alle multi­nazion­ali, quan­do ho vis­to che a Pra­ga c’er­a­no ormai più banche che pivo­varne, quan­do ho vis­to, mart­edì 26 set­tem­bre scor­so, i car­ri armati (anco­ra i car­ri armati) sul Nuswel­sky Most di Visehrad. Ho pen­sato che era già fini­ta quan­do ho vis­to a Bude’jovuice un poliziot­to con la fac­cia di S’ve­jk (ma non altret­tan­to sim­pati­co) tirare giù dal treno due ragazz­ine e mal­me­narle davan­ti ai nos­tri occhi ester­refat­ti (matri­co­la del poliziot­to 244666, se può inter­es­sare). Ho pen­sato che la Repub­bli­ca ceca è cadu­ta sot­to una nuo­va dit­tatu­ra, quel­la delle multi­nazion­ali che attra­ver­so la glob­al­iz­zazione del­l’e­cono­mia pre­tendono di coman­dare alla polit­i­ca di ogni sin­go­lo sta­to. Un fan­tas­ma sui aggi­ra­va in questi giorni per le strade di Pra­ga: lo chia­mano dis­senso, ormai, non solo in Europa occi­den­tale, ma in tut­to il mon­do da Seat­tle e Davos, da Bologna a Pra­ga. Tan­ti auguri sign­or Pres­i­dente, anche Lei seques­tra­to e tenu­to in ostag­gio dalle multi­nazion­ali. L’au­toci­ne­si del sis­tema, com’è del tut­to evi­dente, non è fini­ta».

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