lunedì, Ottobre 7, 2024
HomeStoria del GardaLa Sirmione di Mario ArduinoGabriele D’Annunzio e il sonno dei poeti

Gabriele D’Annunzio e il sonno dei poeti

Il 21 giugno 1926 venne costituita al Vittoriale di Cargnacco una società anonima per azioni denominata “Istituto Nazionale per la edizione di tutte le opere di Gabriele d’Annunzio”. La sede fu fissata al civico numero 1 di via della Maddalena in Milano. In un comunicato dell’Agenzia Stefani si legge che l’ente “è sorto sotto l’alto patronato di Sua Maestà il Re e la presidenza onoraria del Primo Ministro Benito Mussolini. L’edizione sarà fatta in veste sontuosa e tale da costituire un’opera di insigne bellezza tipografica degna del genio italiano cui è dedicata, in doveroso riconoscimento dei suoi meriti di artista e di soldato”.

Nella mattina di quell’ormai lontano giorno d’estate il poeta aveva accolto a Riva del Garda il ministro della pubblica istruzione Pietro Fedele ed il suo capo di gabinetto Santini, provenienti da Bolzano. All’acclamazione della folla ammassata sulla banchina del porto il comandante, giunto con il suo Mas, rispose definendo la località dell’alto lago “paese di tutti i sogni di bellezza, di tutti gli incanti e di tutti gli ideali”.

Dopo una rapidissima corsa sulle limpide acque gli illustri personaggi sbarcarono a Gardone. Qui li aspettavano Senatore Borletti, Arnoldo Mondadori, Leopoldo Barduzzi ed Ettore Bianchi.

Nel romitaggio “che ammira la levità pensosa dell’ulivo benacense” il notaio salodiano Zane, assistito dal collega Guasti, rogò l’atto. Subito dopo il vate offri agli ospiti “un suntuoso rinfresco e li condusse poi tutti in un’interessante visita attraverso le stanze del Vittoriale, illustrando le opere di adattamento e di abbellimento”. Salì quindi sulla nave “Puglia” interrata nel parco, e fece sparare auguralmente cinque colpi di cannone a salve. Infine inviò due telegrammi: il primo al re ed il secondo al duce. Sempre a detta della Stefani, quello inviato a Vittorio Emanuele III° recitava testualmente: “Il devotissimo fante del Timavo novamente ringrazia la Maestà Vostra per l’alto patrocinio accordato ad un’impresa che egli non considera se non come il patto del suo Passato con il suo Avvenire”. Tuttavia, in un libro edito da Mondadori in sole ottocento copie ed in caratteri bodeniani nel giugno dell’anno successivo, appare la riproduzione dell’autografo del citato messaggio. E, con un pò di sorpresa, si vede che in realtà d’Annunzio non scrisse “egli” e “suoi” bensì “io” e “‘mio”. Forse il dottor Freud potrebbe spiegare il disinvolto passaggio dalla terza alla prima persona.

Nella sua “Arte poetica” Orazio afferma di indignarsi quando il pur grande Omero sonnecchia, ma aggiunge di capire come in poemi tanto vasti qualche flessione sia inevitabile. Pare dunque che una lieve distrazione possa venire concessa pure all’”infaticabile artiere” abruzzese. Non senza rilevare che, a proposito di purezza linguistica, egli affermò una volta: “difficilissimo cogliermi in fallo”. E il ministro Fedele (nomina sunt consequentia rerum), assentendo, osservò che era addirittura impossibile.

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