venerdì, Settembre 22, 2023

I prof. del Bagatta

Il liceo sci­en­tifi­co venne isti­tu­ito al Bagat­ta pro­prio l’an­no in cui mi iscrissi io. I miei gen­i­tori ebbero la feli­cis­si­ma intu­izione di iscriver­mi al liceo, anziché a un isti­tu­to tec­ni­co: i ragazzi del nos­tro ceto sociale preferivano un ciclo di stu­di breve, che fini­va con un “diplo­ma”. I miei vollero osare, investen­do sul futuro. Ma il liceo era anco­ra una scuo­la per “sci­uri”: benché mesco­lati, era­no più a pro­prio agio i figli dei “ric­chi” (il notaio, l’ingeg­nere, il far­ma­cista…). Non ho un bel ricor­do del peri­o­do del liceo: non lega­vo con i miei com­pag­ni, chissà per­ché.

I pro­fes­sori che ricor­do era­no tut­ti bravis­si­mi (qua­si tut­ti…), anche se non ho conosci­u­to, purtrop­po, i prof. del “clas­si­co”, i miti­ci Zago, Mar­col­i­ni, Fran­chi­ni, Tanzi­ni.

La sig­no­ri­na Mer­li inseg­na­va la matem­at­i­ca con una pas­sione, un trasporto che prob­a­bil­mente non erava­mo in gra­do di apprez­zare. Non pre­tende­va molto: solo che si impara­sse la matem­at­i­ca. E in questo era spi­eta­ta, ed è il com­pli­men­to più bel­lo che le si pos­sa fare. Nes­suno accetterebbe di essere cura­to da un medico pietoso: e allo­ra per­ché accettare la pietà da un inseg­nante? La scuo­la del­l’ob­bli­go si fer­ma­va, allo­ra, alla terza media e non era anco­ra inte­sa come l’ob­bli­go di pas­sare il tem­po a scal­dare i banchi fino allo scadere del­l’ob­bli­go sco­las­ti­co. Ogni stu­dente dovrebbe sen­tire l’ob­bli­go morale di cogliere tutte le occa­sioni che la Scuo­la gli offre per impara­re. La sig­no­ri­na Mer­li la inten­de­va così e chi non lo capi­va si autoesclude­va: in sec­on­da liceo, in una classe di 25, ci furono tredi­ci riman­dati in matem­at­i­ca!!

Con il prof. Bazoli erava­mo vil­lani: è un ter­mine inadegua­to, ma non ne tro­vo uno più adat­to ad esprimere la man­can­za di rispet­to con la quale trat­tava­mo questo scien­zi­a­to trop­po buono a cui il des­ti­no ave­va ris­er­va­to, a fine car­ri­era, una classe di rozzi, incivili, male­d­u­cati, imma­turi bifolchi quali siamo sta­ti per tut­ta la dura­ta del cor­so di stu­di.

Un anno, in quar­ta, abbi­amo avu­to una prof. di filosofia che ci det­ta­va gli appun­ti. Non ricor­do il nome, ma solo il sopran­nome, che non riferirò, per decen­za. Anche se si van­ta­va di fre­quentare emi­nen­ti espo­nen­ti del mon­do sci­en­tifi­co, ave­va uno stra­no meto­do di inseg­nare. Quan­do ci inter­ro­ga­va, vol­e­va sen­tire solo i suoi appun­ti. Quan­do l’ab­bi­amo capi­to, abbi­amo adegua­to il nos­tro meto­do di stu­dio: solo gli appun­ti a memo­ria e nul­la più. Risul­ta­to: bei voti, cul­tura zero. Tut­ti igno­ran­ti, ma tut­ti pro­mossi!

L’ar­chitet­to Peri­ni è sta­to il più geniale. Potrei fare un elen­co degli argo­men­ti trat­tati nelle sue lezioni: dia­pos­i­tive di un suo viag­gio in Gre­cia, per vedere gli esem­pi più insigni del­l’ar­chitet­tura; idem di un viag­gio in USA e Cana­da; l’evoluzione urban­is­ti­ca di Roma nei sec­oli, dal­l’Im­pero a oggi; illus­trazione di un suo prog­et­to di una chiesa, in col­lab­o­razione con un soci­ol­o­go ed un teol­o­go. Ogni lezione era una sor­pre­sa. Forse non rispet­ta­va fedel­mente il pro­gram­ma min­is­te­ri­ale, ma le sue lezioni sono quelle che in asso­lu­to mi sono rimaste più impresse.

Ma il ricor­do più bel­lo è del prof. De Pero. Sape­va ren­dere appas­sio­n­ante qualunque argo­men­to. Le sue lezioni spazi­a­vano da Dante a Joyce, dal Tas­so al Ver­ga con la medes­i­ma com­pe­ten­za e pro­fon­dità. Oltre alla Div­ina Com­me­dia, che abbi­amo let­to qua­si per intero, in quin­ta ci ha con­vin­to che val­e­va la pena di leg­gere “I Promes­si sposi” e l’Adelchi, anche se non face­vano parte del pro­gram­ma d’e­same. Con lui, in lati­no, ave­vo 9: il voto più alto mai pre­so in tut­ta la mia car­ri­era sco­las­ti­ca. Quan­do ci legge­va Man­zoni o Cicerone, sem­bra­va che li conoscesse a memo­ria: lo ascoltava­mo a boc­ca aper­ta, come i bam­bi­ni ascoltano le fiabe. E quan­do la lezione fini­va, veni­va da dire: “Anco­ra!”.

Dopo qualche anno, pas­sato al “clas­si­co”, il prof. De Pero ha las­ci­a­to la scuo­la: una grave perdi­ta per tut­ti gli allievi che non han­no fat­to in tem­po ad approf­ittare del­la sua conoscen­za e del suo modo, inde­scriv­i­bile, di appas­sion­are allo stu­dio di una mate­ria inutile come la let­ter­atu­ra, in un mon­do fret­toloso e spen­sier­a­to, in cui l’im­por­tante è avere suc­ces­so, non fa niente quan­to si è igno­ran­ti.

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