Che il Monte baldo sia un “monte isola” è un dato ben noto in campo naturalistico. Esso infatti sorgeva come un’isola durante l’ Era Quaternaria dai ghiacci che lo cingevano ovunque e là dove esso emergeva trovarono rifugio specie botaniche e faunistiche. Ma tutto questo accadeva milioni di anni fa. Oggi nessuno penserebbe mai che il Baldo, lambito da boschi, prati e da uno splendido lago, ancora rappresenti un’isola per qualche specie vivente. E invece, come «naufraghe» senza via di fuga, più di mille marmotte conducono oggi sul Monte Baldo la loro esistenza. Un’esistenza serena ed indisturbata, senza predatori né competitori dello spazio vitale, eppure proprio il fatto di trovarsi dentro un’ «isola», seppur sicura, rischia di essere il più grave pericolo per questa specie. A lanciare un grido d’allarme in tal senso è Andrea Nadali, attualmente il miglior conoscitore delle marmotte baldensi. Nadali, infatti, dopo aver condotto una ricerca sul campo durata ben tre anni ed effettuata in collaborazione con il Settore Faunistico-ambientale della Provincia di Verona, si è poi laureato al dipartimento di Biologia animale dell’ateneo di Modena con una tesi avente come oggetto appunto la biologia della marmotta baldense. Una tesi che non solo gli è valsa il massimo del punteggio ma che è stata poi addirittura premiata come «migliore tesi di laurea della regione veneto per l’anno 1999–2000 ad indirizzo faunistico rivolta alla gestione e conservazione delle specie». Si tratta di un premio organizzato dall’Associazione faunisti veneti, associazione con sede al museo civico di storia naturale di Venezia e della quale fa adesso parte, a pieno titolo, anche lo stesso Andrea Nadali. «Per la mia ricerca», spiega Andrea Nadali «è stato anzitutto necessario effettuare un monitoraggio generale del settore veronese del Monte Baldo onde individuare tutte la colonie di marmotte esistenti. Impresa non semplice in quanto, come ben sa chi conosce il Monte Baldo, questo gigantesco rilievo prealpino alterna su entrambi i versanti, quello atesino e quello lacustre, praterie alpine a ripide valli sassose che sono quanto di più faticoso si possa immaginare per chi deve esplorarle gravato da tutta l’attrezzatura necessaria alle osservazioni e, spesso, anche al pernottamento». Il monitoraggio ha condotto Nadali ad individuare una ventina di colonie, identificate e nominate in base alle località. Eccone l’ elenco: Valvaccara, vallone sotto il Mondini, valle delle Pre, val Malmaor, valle degli Ossi, valle Larga (di destra e di sinistra), Valdritta, val Finestra, val d’Angual, valle delle Pozzette, Colma di Malcesine, adiacenze della casermetta della guardia di finanza, zona Ventrar. Tutte queste sul lato occidentale. Sul lato orientale (in parte atesino), sono invece state identificate le seguenti colonie: Colonei di Caprino, fasce rocciose della Valfredda, Sassleng, canalone Osanna, prati del Marocco, Passo Cerbiolo, Cima Paloni e Punta delle Redutte. «Identificate le colonie», informa ancora Nadali «ho poi suddiviso il Baldo in aree, naturalmente con riferimento alle citate colonie. Nell’ambito di queste aree ne ho scelte tre sufficientemente rappresentative dei diversi tipi di habitat baldensi prediletti dalle marmotte: la valle delle Buse (ambiente rupestre-sassoso), la zona settentrionale della valle di Naole (prati e pascoli), la zona meridionale di Naole ed i Colonei di Pesina (limite tra bosco e prateria)». Si tratta di tre ambienti tipici baldensi che ritroviamo con caratteristiche simili anche nel settore malcesinese ed anche in quello trentino. Superando l’ostacolo posto dalla proverbiale ritrosia delle marmotte a mostrarsi all’uomo quali segreti è riuscito mai a carpire Nadali nei suoi complessivi 181 giorni di osservazione, pari a ben 1.508 ore di «puntamento» del binocolo verso le varie tane? «Oltre ad aver individuato e monitorati praticamente tutti i siti baldensi popolati da questo sciuride», dice soddisfatto Nadali «ed oltre ad essere riuscito a calcolare il numero complessivo di presenze, nonché la densità per ettaro ed altre preziose informazioni biologiche, ciò che più conta è che sono riuscito a tracciare un quadro sufficientemente completo e definitivo della situazione della marmotta baldense a 35 anni circa dalla sua prima reintroduzione». Un quadro che se ha certamente dei lati molto positivi, ha purtroppo anche un risvolto negativo con il quale prima o poi bisognerà fare i conti. Iniziando con le buone notizie si può dire anzitutto che al momento attuale la marmotta sul Baldo vive una fase «ascendente» con rapido accrescimento della popolazione. In pratica essa è ancor lontana dal “climax”, vale a dire dalla condizione di stabilità. Il merito di ciò, sottolinea Nadali, «va imputato alla buona situazione di naturalità presente sul Baldo, allo scarso impatto antropico (divenuto ancora più scarso dopo la chiusura degli impianti di Prada-Costabella), al limitato numero di animali competitori ed alla limitata presenza di predatori, circoscritti a qualche volpe e ad una coppia di aquile». Fin qui le buone notizie. Quelle meno buone, invece, consistono nel fatto che essendo il Baldo un’isola geografica e non essendovi “corridoi” che permettano lo scambio fra le popolazioni di marmotte limitrofe, quelle baldensi finiscono coll’essere isolate, con grave danno sul piano riproduttivo. La situazione di isolamento, infatti, conduce inevitabilmente al fenomeno dell’inincrocio, vale a dire all’accoppiamento fra consanguinei. Accoppiamenti che, come è noto, producono l’impoverimento del patrimonio genetico e rendono più vulnerabile la specie alle malattie. «Fra l’altro», sottolinea Nadali «non solo delle marmotte originarie non si conosce il ceppo di provenienza (cosa che rende impossibile stabilire la variabilità genetica dei fondatori della popolazione baldense) ma, in più, originariamente il rapporto in alcuni verbali di rilascio non si trova descrizione nemmeno della sex ratio, vale a dire di quale fosse fra i sessi». Per quel che se ne sa, quindi, le marmotte baldensi potrebbero derivare tutte dalla stessa madre o dallo stesso padre e, anche se improbabile, questo fatto potrebbe avere conseguenze molto gravi. Quali soluzioni, allora? Andrea Nadali non ha dubbi in proposito ed afferma che trovandosi in una situazione attualmente felice ma assolutamente precaria perché creata artificialmente, la marmotta baldense non deve essere assolutamente abbandonata a se stessa, magari con la scusa della sua attuale abbondanza, ma deve da un lato essere costantemente monitorata dal personale addetto alla vigilanza faunistica del territorio e, dall’altro, arricchita con nuove immissioni di esemplari provenienti da ceppi genetici affatto differenti da quelli locali. «Se non si agirà in tal senso», dice infine Nadali, che fra l’altro si è dichiarato disposto ad offrire per eventuali ricerche il proprio contributo scientifico e la propria pluriennale esperienza sul campo «i positivi risultati ottenuti sino ad oggi sulla popolazione locale di marmotte potrebbero essere vanificati dal lento ma inesorabile deterioramento della specie».