Nel campanile dell’Inviolata c’è un orologio che, sostiene Eddo Colorio nell’ultimo annuario della Sat cittadina, detiene un probabile record: quello del minor funzionamento. Degli ultimi cent’anni ne ha passati almeno 86 immobile e muto.Agli inizi del secolo l’orologio funzionava, ed era quasi in campagna. Intorno al ’10 – ma non ci sono testimonianze dirette – il meccanismo s’è piantato. Gli anni successivi sono stati pieni di cose più importanti. Solo nel ’46 Elidio Patuzzi, un dipendente comunale, antesignano geniale del faidatè (costruiva violini dopo giornata), decise che l’orologio doveva tornare a scandire le ore per una città che un po’ alla volta si stava svegliando. Trovò il sostegno giusto nel dottor Bruno Alberti, primario della medicina di quello che era l’ospedale e primo sindaco di Riva democratica. L’impresa s’annunciava molto complessa. Il meccanismo era tutto arrugginito, i denti incrostati, i bilancieri incrostati di polvere, i fili mangiati o spariti. L’orologio aveva, e dovrebbe avere tuttora, la specialità rara di suonare solo le sei ore: per cui dopo aver battuto sei colpi alle sei, riparte da capo e ne batte uno alle sette, due alle otto, sei a mezzogiorno, uno alle tredici, uno alle diciannove e così via. Il meccanismo è mosso da pesi: tre cariche, una di fianco all’altra. Verso il basso tirano alcune grossi cilindri di marmo. Verso il pianerottolo immediatamente superiore, dove s’apre la cella campanaria (i due bronzi attuali, sequestrati quegli antichi dall’Austria per esigenze belliche, sono stati rifusi nel ’36, utilizzando prede di guerra. Lo afferma una scritta intorno alla campana) sale il filo (spezzato) che muoveva il battaglio per i rintocchi delle ore. Elidio Patuzzi riuscì a rimettere in movimento l’orologio, anche se Eddo Colorio suggerisce che l’impresa gli sia costata troppo. Già malandato in salute, gli spifferi e le sudate a salire a scendere le scalette del campanile, lo ammalarono. Determinato a finire il suo lavoro, non rispettò nemmeno la convalescenza impostagli dai medici. Morì il primo marzo del ’46, a 47 anni d’età. L’orologio continuò per un paio d’anni, e poi tacque. Probabilmente a decretarne il silenzio contribuì anche il fatto che per caricarlo non c’era altro sistema che salire, tutti i santi giorni mandati dal Signore in terra, le strette rampe delle scalette interne (ora coperte d’escrementi dei piccioni che abitano da padroni la torre), e tirare i pesi in alto. Negli anni avvenire, quando il restauro dell’Inviolata avrà provveduto a salvaguardare le cose più importanti, affreschi e stucchi, altari, coro e sacrestia, qualcuno metterà mano anche al campanile, anche all’orologio. Rimane la razza, unica e sola sulla facciata meridionale, ripetuta all’interno della torre. Il sogno di Elidio Patuzzi potrebbe avverarsi, passando però il meccanismo al museo, dov’è il suo posto.
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Fermo da 54 anni l'orologio all'Inviolata
Ore che non passano
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