sabato, Aprile 27, 2024
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Giovedì un comitato illustrerà il progetto nel corso di una assemblea «Sos» per l’antico organo

Restauro necessario ma costoso, servono soldi

Al via il restauro dell’organo della chiesa parrocchiale di San Felice del Benaco. L’operazione verrà presentata alla popolazione dal professor Flavio Dassenno giovedì sera alle 20.30. Per realizzare l’impegnativo lavoro si è costituito un comitato operativo, formato dal parroco don Bruno Rossi, dal sindaco Ambrogio Florioli, dallo storico Pierluigi Mazzoldi, dal ragionier Rosina Mario, dal geometra Giampiero Baccolo, dal ragionier Stefano Borghi e dalle signore Piera Bertanza e Norma Salvini. Lo strumento, un Gaetano Zanfretta del 1897, che riutilizza parti del precedente Montesanti del 1820, è un reperto importante per capire l’influenza dell’organaria gardesano-veronese nella nostra provincia. A due tastiere, possiede molte stratificazioni storiche, con alcune canne della fine del ‘500 risalenti a bottega antegnatiana. Cinque tra i maggiori esperti italiani, tra cui due giovani bresciani, sono stati interpellati su un progetto e capitolato d’appalto assai dettagliati. Il restauro, molto impegnativo e delicato, visto il notevole degrado, sarà coordinato dal professor Dassenno. La chiesa monumentale di San Felice è stata costruita 250 anni fa, dopo avere demolito la precedente, più piccola, contenente un affresco del Romanino, andato distrutto. Il progetto è attribuito ad Antonio Corbellini. Furono i rappresentanti delle contrade (Montanera, Palada, Possa, Marcenago e Cisano) a sollecitare il consiglio comunale e la popolazione. Nel 1746 uno dei pilastri che dovevano sostenere la cupola centrale crollò, trascinando le muraglie vicine. I lavori, comunque, ripresero in fretta. I mattoni in cotto erano forniti da Carzago, Bottenago (Polpenazze), Soprazocco e Lugana (Sirmione). Pietre e sabbia arrivavano via lago dalla sponda veronese. Per cuocere le pietre e ottenere la calce, fu realizzata una calchera, ma la produzione era insufficiente, per cui si dovette ricorrere a fornitori mantovani. I coppi giungevano da Sabbio Chiese. Il legname (di pioppo, cipresso, rovere, castagno) era quasi tutto locale. Il nobile Innocenzo Moniga, nel «raccomandare l’anima al Creatore», lasciò i suoi beni alla comunità di S.Felice, impegnata nella costruzione della chiesa. «A quei tempi – ricorda nel suo libro Pierluigi Mazzoldi – la popolazione traeva il proprio sostentamento dal lavoro dei campi, che spesso non bastavano a sfamare tutti gli abitanti. Grandinate, siccità, malattie del bestiame distruggevano ripetutamente i raccolti. È evidente che, in tali condizioni, pochi soldi potevano essere messi a disposizione per continuare un’opera mastodontica. Il lascito di Moniga, cui è intitolata la piazza antistante la chiesa, fu quindi fondamentale per il proseguimento dei lavori». Anche la moglie, Giulia Tomacelli, proveniente da una facoltosa famiglia di Salò, si comportò nello stesso modo. Il consiglio comunale decise di prelevare altri fondi dall’eredità di Giacomo Pace. I grandiosi affreschi vennero affidati al pittore Carlo Carloni, originario della Valle Intelvi, in provincia di Como. Ma i quattrini non bastavano. E il muni cipio fu costretto a vendere beni e a chiedere prestiti a privati. Anche i pescatori concorsero alla realizzazione dell’edificio, destinando parte dei loro proventi. La chiesa venne consacrata dal vescovo di Verona nel 1781: i lavori erano durati una quarantina di anni. «L’organo della vecchia chiesa demolita era stato ricollocato nella nuova, e utilizzato per le cerimonie religiose – scrive Mazzoldi -. Ma era quasi sempre guasto, e bisognava ricorrere a un maestro per le riparazioni. Nel 1821 la Fabbriceria riuscì a sostenere la spesa e a collocare uno strumento nuovo, attribuito a Gaetano Callido». Nel 1897 si passò allo Zanfretta, che ora va assolutamente restaurato. Giovedì la gente ne discuterà in chiesa. Ci saranno gli abitanti di tutte le contrade, come nei giorni in cui si decise di costruire la grande chiesa.

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