sabato, Aprile 27, 2024
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Da Masi all’Uvive: serve massa critica. Pasqua: «Una commissione interprofessionale»

Vinitaly 2006: fare filiera, ecco la carta vincente

Quali aspettative hanno i vitivinicoltori veronesi alla vigilia della 40ª edizione di Vinitaly? Dopo due anni di stasi sembrano arrivare segnali concreti di ripresa ma tutti sono d’accordo nel ribadire la necessità di creare una strategia di filiera per poter vendere meglio il prodotto che è veronese e veneto, ma che deve essere di qualità e legato al territorio.«Il vino veronese ha ancora delle carte da giocare – spiega Bruno Trentini, direttore generale della Cantina sociale di Soave, una vendemmia 2005 in calo del 20% ma che ha prodotto circa 600 mila quintali di uve e 30 milioni di bottiglie, una produzione il cui 35% è fatto per conto terzi e il 65% venduto con il proprio marchio -, ora si tratta di consolidare le nostre posizioni, cercando di costruire una strategia di sistema o di filiera che combini la qualità con la quantità e un prezzo equo. Il Vinitaly? È un momento importante in cui ci incontriamo con tutti i nostri buyer e operatori, è una momento di festa per presentare i nuovi prodotti». Dal Soave al Valpolicella, il passo è breve ma uguali sono il calo della vendemmia 2005 (-20%) e le aspirazioni. «L’Amarone sta riscuotendo un grande successo in Italia e all’estero – dice Daniele Accordini, direttore della Cantina sociale di Negrar, 50 mila quintali di uve, il cui prodotto (quasi il 100% con i propri marchi) va all’estero per il 65% – e questo ci dà sicurezza, anche la tipologia del Ripasso ci permette un rilancio del Valpolicella. Per quanto riguarda il Vinitaly, quest’anno speriamo che riescano a risolvere i problemi di logistica».Le nuove sfide del vino veronese e in particolare del Valpolicella, secondo Sandro Boscaini (presidente della Agricola Masi, azienda da 45 milioni di euro e 90% di export), si giocano con una miscela di tre fattori: rapporto di filiera, forza finanziaria e rapporto qualità-quantità-territorio. «Il successo dell’Amarone, che dopo il Barolo e il Brunello è una delle tre bandiere dell’enologia italiana – commenta Boscaini, che ha frequentanto tutte le 40 edizioni di Vinitaly -, è dovuto al fatto che è un vino moderno dal cuore antico, che contiene un deposito storico, culturale ma anche emozionale legato al nostro territorio. La sfida che ci aspetta è quella dimensionale: mantenere un giusto rapporto tra qualità e prezzo aumentando la quantità, per questo le nostre aziende devono sviluppare una strategia imprenditoriale che tenga conto dell’aspetto finanziario e delle relazioni di filiera».A questo proposito Giorgio Pasqua, contitolare e responsabile di produzione della cantina di famiglia, torna a proporre la «commissione interprofessionale» indispensabile a creare un accordo sinergico di filiera per il marketing e il commercio del prodotto vino di Verona, ma anche per puntare «sull’innovazione delle coltivazioni dei vigneti». «Rimanere piccoli – dice Pasqua, che anche presidente della sezione Vini di Confindustria Verona e del raggruppamento regionale Agroindustria di Confindustria Veneto – si perdono le occasioni di conquistare nuove quote di mercato: bisogna fare i conti con la globalizzazione, pensare a leggi che impongano a tutti le stesse regole prima che sia troppo tardi». Aziende più piccole ricorrono a due diverse strategie: fare cartello o filiera o puntare all’originalità. Il primo caso è quello dell’Unione Vini Veneti (Uvive) che raggruppa 118 piccole aziende. «Il ministero ha appena finanziato il nostro progetto con 43 milioni di euro, 30 dei quali per lo sviluppo strutturale e i rimanenti per la promozione e la ricerca – spiega Luciano Piona, presidente di Uvive e titolare dell’azienda Cavalchina -, questi serviranno a tutte le aziende venete che vogliono aderire». Per quanto riguarda la crisi, Piona non ha dubbi: le difficoltà maggiori sono di quei produttori che hanno cambiato il loro posizionamento di mercato. «La mia azienda – dice Piona – ha registrato una crescita annuale del 20% in questi ultimi anni perché siamo riusciti a mantere nei mercati tradizionali europei e del Nord Europa un rapporto buono tra qualità e prezzi, andare in Cina non farebbe per noi». Il secondo caso è quello dell’azienda La Cappuccina di Costalunga di Monteforte dei fratelli Tessari che si è ritagliata un suo spazio nel mercato (65% estero e 35% in Italia) con 250 mila bottiglie di vino biodinamico, strettamente legato alle caratteristiche della coltura e della cultura territoriale. «La nostra carta vincente – dice Sisto Tessari – è quella di non essere copiabili e ripetibili».La Bolla invece a Verona conta su 200 conferitori e 60 mila quintali di uve ma in totale sforna 15 milioni di bottiglie (92% di queste all’estero). «Puntiamo molto sul nostro marchio – dice Maurizio Ferri, presidente vini Bolla -. Al Vinitaly speriamo di vedere molta gente da fuori e trovare quei segnali di ripresa che abbiamo registrato: negli Usa sono aumentate le richieste di Soave grazie anche anche al nuovo packaging».Paolo Dal Ben

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